Al giorno d'oggi viviamo
in un mondo in cui il grande fratello digitale è sempre più
presente nella nostra quotidianità.
Tutti abbiamo una
telecamera nel nostro telefonino e di conseguenza le gesta eroiche di
poliziotti, pompieri, paramedici o anche di semplici cittadini che,
di fronte una situazione critica, decidono di intervenire, possono
essere facilmente trovate su YouTube.
I nostri moderni eroi non
sono persone create dalla fantasia di un fumettista ma sono persone
che si trovano al momento giusto nel posto giusto e, a costo di
mettere a rischio la propria incolumità, si mettono da parte per
aiutare il prossimo.
Tuttavia la storia che
voglio condividere oggi non parla del gesto altruistico di una
persona verso un altra persona ma piuttosto prontezza di riflessi,
della grande umanità, e della capacità deduttiva che un singolo
uomo ha avuto in un momento decisivo della sua vita e che, con le
scelte che ha fatto, ha salvato il mondo intero.
Se fino ad oggi
pensavate che una sola persona non possa far la differenza a questo
mondo, preparatevi a ricredervi e a conoscere l'Uomo
Che Ha Salvato il Mondo.
Per raccontare questa
storia dobbiamo fare un passo indietro fino al 31 Agosto 1983.
Ci troviamo all'Aeroporto
Internazionale di Anchorage, in Alaska.
Sono le 4 di mattina
e sulla pista, proto per il decollo, c'è un grosso Boeing 747
dall'inconfondibile sagoma con la gobba
e la doppia fila di finestrini nella parte frontale dell'aereo.
Di proprietà della
Korean Airlines, il volo
007 è decollato verso la
fine del giorno precedente da New York con destinazione Seoul ma con
uno scalo proprio qui, in Alaska, per rifornirsi di carburante, prima
della traversata dell'Oceano Pacifico.
Ai comandi del velivolo ci
sono il capitano Chun Byung-in, il Primo Ufficiale Son Dong-hui e
l'ingegnere di volo Kim Eui-dong.
Oltre a loro ci sono 266
persone di cui 20 membri dell'equipaggio e 6 membri della compagnia
aerea non in servizio di ritorno a Seoul.
Fra i passeggeri c'è
anche il rappresentante della Georgia presso il Congresso Americano,
Larry
Mc Donald.
Non appena decollato
l'aereo prende lentamente quota, lascia lo spazio aereo dell'Alaska e
chiude i contatti con l'aeroporto di Anchorage iniziando a fare rotta
verso sud-ovest.
I piloti passano la
responsabilità del volo al pilota automatico che, da loro
preimpostato, li porterà fino a destinazione, dove riprenderanno i
comandi per atterrare.
Le ore di volo procedono
lente e, con poco da fare in questa fase di transizione, l'equipaggio
si rilassa così come i passeggeri, che nel frattempo hanno passato
la linea del cambio di fuso orario e si trovano cosi nel giorno dopo,
1 Settembre 1983.
L'aereo è in
avvicinamento alle coste del Giappone quando all'improvviso, nel buio
della notte, una forte esplosione fa sussultare il velivolo.
Immediatamente inizia la
decompressione della cabina e scendono dal soffitto le maschere per
l'ossigeno.
Terrorizzati i passeggeri
cominciano ad indossarle e si stringono le cinture di sicurezza più
che possono, mentre il panico dilaga.
Il capitano e il suo
equipaggio cominciano istantaneamente la procedura di emergenza e
contattano la torre di controllo di Tokyo, responsabile della
gestione del traffico in questa zona, segnalando un'emergenza con
perdita di pressione nella cabina.
Sono momenti terribili per
tutte le persone a bordo dell'aereo che continua inesorabilmente a
scendere verso il basso nella notte nera.
In cabina si combatte
contro un mostro invisibile che, colpo dopo colpo, priva i piloti di
ogni possibilità di controllo del mastodontico velivolo che ormai è
allo sbando.
Pochi secondi lunghi come
una vita e poi più nulla. Solo il silenzio.
Tokyo continua
imperterrita nella ricerca di una risposta alle chiamate radio da
parte del volo 007 ma la voce del comandate e di tutti gli occupanti
del volo è stata zittita per sempre.
Cosa è successo al volo
007?
È accaduto
l'inimmaginabile.
Ci si è dimenticati di
quel piccolo dettaglio al quale nessuno va mai a pensare e che, per
quanto insignificante sia, da inizio ad un concatenarsi di eventi la
cui drammatica escalation ha portato alla perdita di 269 vite.
È successo che il volo
era stato preimpostato dai due piloti con un valore di rotta errato
nel computer del pilota automatico.
Un'angolazione sbagliata
di pochi gradi sulla rotta da seguire, che però ha portato l'aereo
coreano a non seguire la tratta prestabilita ma a sconfinare molto
lentamente e a passare proprio sopra lo spazio aereo sovietico.
In particolare ha
attraversato la penisola del Kamchatka
e così facendo, senza previa autorizzazione, ha messo in moto la
macchina da guerra sovietica.
L'aviazione militare russa
era già in stato di pre-allerta visto che da mesi cercava, senza
successo, di intercettare aerei spia di presunta provenienza
americana che sconfinavano costantemente sul territorio senza
identificarsi.
Tuttavia la vera
condanna a morte del volo 007 arriva poco dopo, quando l'aereo
coreano, che all'epoca non era dotato di GPS, sta per lasciare le
acque internazionali ed entrare nuovamente sullo spazio aereo
sovietico in prossimità della isola di Sakhalin.
A questo punto l'aviazione
fa scattare la controffensiva e , con un caccia, intercetta l'aereo
passeggeri.
Al comando del jet
sovietico SU-15
c'è Gennadi Osipovich e, stando alla sua versione dei fatti,
riporterà che fu impossibile stabilire un contatto radio col
velivolo non identificato e, stando alle procedure militari
dell'epoca, in caso di mancata risposta avrebbe dovuto sparare una
raffica dalla mitragliatrice del suo caccia con traiettoria parallela
alla fusoliera del velivolo non identificato allo scopo di intimare
il cambio di rotta.
Gennadi obbedisce e spara
una raffica di proiettili all'altezza della cabina del grosso aereo
passeggeri credendo che sia visibile dai piloti.
Purtroppo non sa che sul
suo aereo sono stati caricati proiettili perforanti e non traccianti,
che pertanto risultano quasi invisibili nella notte.
Come da manuale, non
avendo ricevuto risposta, chiede ai suoi superiori come procedere.
La risposta è una e
tragica: abbattere l'aereo sconosciuto.
Gennadi ingaggia il
velivolo con i suoi missili K-8,
conferma l'abbattimento e fa rotta verso la base.
Non sa ancora che quel
gesto resterà con lui, come un marchio a fuoco, per tutta la vita.
I giorni passano con il
mondo intero a chiedersi che fine abbia fatto il volo 007 della
Korean Airlines, ma ci vuole ben poco prima che alcuni detriti
dell'aereo arrivino sulle coste del Giappone.
Basandosi sulle correnti
degli ultimi giorni è facile ricostruire la zona approssimativa
dell'abbattimento e, con la pressione internazionale alle stelle, i
russi confessano di aver abbattuto un aereo sconosciuto sul loro
territorio.
La notizia è
comprensibilmente accolta con indignazione e tutti paesi che hanno
perso dei connazionali a bordo dell'aereo domandano spiegazioni.
In pochissimo tempo la
tensione fra il blocco sovietico e la Nato sale alle stelle.
Gli Stati Uniti
bloccano l'accesso a tutti i voli della compagnia di bandiera
sovietica Aeroflot
in partenza e in arrivo sul territorio statunitense (il blocco verrà
poi tolto solo nel 1986).
Inoltre le autorità
aeroportuali di New York e New Jersey, violando gli accordi delle
nazioni unite che garantiscono la libertà di accesso fra i paesi
membri dell'unione, vieta il permesso di atterraggio sui loro
aeroporti a qualunque aereo sovietico.
Mosca, dal canto suo,
esprime il suo rammarico per la perdita di vite umane, ma insiste che
secondo loro il volo era stato architettato per testare l'efficacia
della difesa aerea sui siti militari strategici del Kamchakta.
É una situazione di così
alta tensione che addirittura alcuni paesi membri delle nazioni unite
cominciano a chiedersi se forse non fosse meglio spostare il quartier
generale dell'Onu al di fuori dal territorio americano.
Ronald
Reagan, il 5 Settembre
1983, nel suo discorso
alla televisione americana,
non offre nessuna giustificazione al vile attacco sovietico.
Nel suo discorso spiega
che la notte non era buia ma illuminata dalla luna che, anche se non
piena, era sufficiente ad illuminare la sagoma dell'inconfondibile
aereo passeggeri.
Reagan invita i sovietici
a collaborare ad un sistema che eviti future tragedie come queste ma
punta il dito contro il loro atteggiamento gelido che negli anni non
è mai cambiato verso il resto del mondo.
Conclude etichettando
chiaramente l'aggressione sovietica e avvisando che ci saranno
conseguenze che limiteranno l'approvvigionamento di armi alla Russia
che storicamente ha sempre imposto la sua volontà con le armi.
Le ultime frasi del
discorso sono di speranza per un futuro migliore in cui tragedie come
questa saranno per sempre scongiurate.
Tuttavia sarà lo stesso
Reagan, in un comunicato del 16 settembre 1983, a scongiurare future
problematiche di questo tipo quando annuncerà al mondo intero che
gli Stati Uniti forniranno gratuitamente l'accesso per uso civile al
sistema GPS, da loro progettato.
Questa sarà, negli anni
avvenire, una rivoluzione non di poco conto, che avrà ripercussioni
su ogni forma di trasporto sia pubblica che privata.
Dal punto di vista
Sovietico la situazione era molto peggio di quello che si potesse
pensare.
Tutti, a partire dal
presidente sovietico Yuri
Andropov, fino ai massimi
vertici del Cremlino,
erano convinti più che mai che le azioni degli Stati Uniti, iniziate
coi blocchi aerei fino al discorso di Reagan, puntassero a creare un
ben preciso contesto, nel quale un attacco nucleare da parte degli
Usa fosse una possibilità non più remota, ma mai come prima d'ora,
possibile.
Di conseguenza, seguendo
la dottrina sovietica, ogni minaccia o attacco verso il popolo
sovietico andava prontamente risposto con forza ancora maggiore.
Questo stato mentale, che
condizionava il governo sovietico a vivere in uno stato di perenne
minaccia, non faceva altro che generare una situazione di stress che
aveva terribili effetti negativi sulla macchina da guerra sovietica
che, di conseguenza, era particolarmente propensa ad errori o
incidenti.
Insomma bastava davvero
poco per scatenare una reazione smisurata da parte della Russia.
Proprio in questo contesto
critico arriviamo al cuore della storia di questo post.
Per cominciare
dobbiamo andare in Russia e più precisamente a Kurilovo, una
cittadina in aperta campagna a circa 80 chilometri a sud di Mosca.
Qui sorge una
installazione militare sovietica dal nome di Serpukhov-15,
(vedi qui
il sito esatto su Google maps).
Costruita nel 1982, la
piccola installazione ha un numero cospicuo di strutture di controllo
dalla forma insolita e munite di grandi antenne a forma concava.
Tuttavia non bisogna farsi
ingannare dalle apparenze ridotte.
Infatti qui ha sede uno
dei punti nevralgici dell'intero apparato militare sovietico, forse
addirittura il più importante in assoluto.
Lo scopo di questa
installazione è infatti quello di monitorare OKO,
un avveniristico sistema di
preallarme
in grado di identificare e seguire la traiettoria di eventuali
missili balistici intercontinentali decollati da qualunque parte del
mondo e diretti verso la Russia.
Il sistema, estremamente
innovativo per l'epoca, è in grado di stabilire la traiettoria di un
missile tramite il rilevatore ottico ad infrarossi.
È tarato per riconoscere
nel cielo la tipica scia generata dai motori dei missili balistici
intercontinentali e stabilirne la base di partenza, la direzione
stimata (tramite una serie di controlli incrociati) e il tempo prima
dell'impatto.
Il 26 settembre 1983, 25
giorni dopo l'abbattimento del volo 007, il turno di servizio
all'interno di questa struttura militare sta per concludersi senza
niente da segnalare, così come da quando il sistema è entrato in
servizio.
I nove satelliti che
orbitano la terra e comunicano costantemente con l'installazione non
riportano niente di anormale e così ci si limita ai controlli di
routine prima di passare il comando agli addetti al turno successivo.
Ad un tratto il silenzio
viene spezzato dal suono di una sirena e sullo schermo principale
della installazione, a caratteri cubitali, indica “START”.
La base intera passa allo
stato di massima allerta mentre cominciano ad arrivare i dati
inerenti ad un possibile lancio di un missile da parte di una
installazione americana.
Petrov, così come i suoi
colleghi, sono in stato di shock ma , come da addestramento, iniziano
rapidamente le procedure di identificazione.
Più passa il tempo e più
i vari sistemi di identificazione danno conferma su conferma che il
lancio è reale.
Come misura di sicurezza
ci sono ben trenta diversi livelli di conferma che il lancio,
identificato dal satellite, deve superare prima di essere considerato
attendibile.
Con solo 28 minuti prima
dell'impatto, Petrov coordina tutto il suo personale che dalle loro
postazioni iniziano a fare i vari controlli.
Il responso è unanime:
lancio confermato!
Tutto ad un tratto una
responsabilità pazzesca grava sulle spalle di Petrov: informare i
suoi superiori che, in pochissimo tempo, devono far partire un
contrattacco.
Nella stanza di controllo
tutti gli schermi lampeggiano con segnali rossi d'allarme e i vari
addetti ai diversi sistemi guardano tutti Stanislav che deve prendere
una decisione.
Il Tenente Colonnello non
perde la calma e con gran sangue freddo si impone di non prendere
decisioni affrettate.
Sa che ci vorrebbe la
conferma numero uno per eccellenza, quella visiva.
Tuttavia quest'ultima
risulta superflua per le loro procedure, visto che i 30 livelli di
sicurezza sono più che sufficienti per informare l'alto comando.
Petrov aspetta.
Sa bene che nel momento
che lui identifica un attacco di un missile balistico come reale, la
catena di comando, di cui lui è al primo posto, farà le sue scelte
considerando l'attacco come tale.
In una similitudine, usata
da Petrov stesso nel descrivere questa situazione, “Ci trovavamo
come in un pollaio in cui se il primo gallo canta, tutti gli altri
galli del villaggio lo seguono”.
Petrov prende una
decisione drastica e dichiara che questo missile è frutto di un
errore del sistema.
Tutti rimangono sbigottiti
dalla sua decisione.
Tuttavia passano pochi
secondi ed ecco che il peso della decisione sulle sue spalle viene
nuovamente rinnovato e moltiplicato quando poco dopo il sistema
comincia a segnalare un secondo missile decollato dagli Stati Uniti.
Partono di nuovo frenetici
i controlli e di nuovo si passa alla validazione dei 30 livelli ma
non si fa nemmeno in tempo a cominciare che un terzo e poi un quarto
missile compaiono sullo schermo.
Passano secondi lunghi una
vita con 4 missili e le loro traiettorie che pian piano si compongono
sullo schermo finché un ennesimo allarme informa che un quinto
missile è decollato alla volta della Russia.
In pochi minuti la
situazione è diventata critica.
Petrov ora ha 5 missili in
arrivo di cui tutti stanno passando i trenta livelli di conferma.
I suoi colleghi continuano
a fargli pressione incitandolo a contattare il comando.
Manca davvero poco al
presunto impatto del primo missile e Petrov sa che il comando avrà
pochissimi minuti per contattare il presidente e fargli prendere una
decisione che avrà ripercussioni in tutto il mondo.
A render le cose ancora
più complesse l'unico altro sistema indipendente da quello di OKO
per identificare i missili, sono i radar posti al sul territorio
sovietico che tuttavia, a causa di una limitazione fisica, posso
identificare missili in arrivo solo quando passano la linea
dell'orizzonte.
Tuttavia questa conferma
viene ad un costo altissimo.
Infatti riduce a
pochissimi minuti la possibilità di informare l'alto comando e di
conseguenza il presidente.
A questo punto di massima
allerta Petrov, sbalordendo tutti, decide di aspettare e decreta che
anche questi attacchi non sono reali.
I suoi colleghi sono
sbigottiti, non riescono a capacitarsi ne di quello che sta
succedendo ne tanto meno della scelta di Petrov.
Tutto il peso del mondo si
riversa su di lui che, per una manciata di minuti, ha in mano le
sorti della terra.
Ogni secondo è un secolo
e la tensione si taglia col coltello nella sala di controllo di OKO.
Il conto alla rovescia per
il primo impatto sta per scadere, mancano davvero una manciata di
minuti.
Tutti sono impietriti di
fronte ai monitor che continuano a lampeggiare freneticamente con
scritte nere su sfondo rosso.
All'improvviso il primo
missile supera la linea stimata per il passaggio dell'orizzonte e
tutti sono inchiodati di fronte al monitor di conferma delle
postazioni radar.
Nell'incredulità di tutti
la traiettoria continua, ma non viene confermata dall'altro sistema.
La linea di trattini
traccia la sua rotta finale e si ferma sulla sua destinazione.
Un impatto terribile
dovrebbe aver annientato il bersaglio ma non si ha nessuna
comunicazione di una esplosione.
Pochi istanti sospesi in
un limbo e arriva la conferma che non è accaduto nulla.
Petrov, nella sua
scommessa con la sorte, ha vinto per se e per tutto il mondo.
Ad uno ad uno tutti i
missili si rivelano essere un falso allarme e la vittoria, contro il
nemico invisibile e pauroso, è tutta merito suo.
Ma allora che cosa era
accaduto ad OKO e ai suoi satelliti?
La risposta è tanto
semplice quanto inverosimile.
Per una coincidenza
inaspettata la luce del sole, riflessa sopra delle nuvole ad alta
quota, è stata convogliata direttamente sulla lente di uno dei
satelliti che ha interpretato quella interferenza come una serie di
lanci.
Una volte identificata la
causa il sistema verrà ricalibrato e rimesso in funzione.
Tornando a Petrov, per noi
è impossibile descrivere come si sia potuto sentire dopo una
situazione come questa e le sensazioni vissute in quegli attimo sono
uniche e conosciute solo a coloro che, in quella stanza piena di
monitor illuminati di rosso, hanno visto passare di fronte a se il
destino di un intero pianeta e un uomo prendere la decisione giusta.
Tuttavia il sistema
militare sovietico non perdona e quando Petrov riporta al suo diretto
superiore l'accaduto, viene dapprima elogiato e poi castigato con la
scusa di non aver compilato la documentazione dell'incidente in
maniera corretta e, successivamente, mandato in prepensionamento.
Infatti lo scandalo del
funzionamento errato del sistema era stato molto imbarazzante per
l'alto comando sovietico e, con la carriera di molti alti ufficiali
in gioco, Petrov fu scelto come il perfetto capro espiatorio.
Tuttavia quando dopo la
caduta della cortina di ferro la storia di Petrov si sparge sui
giornali, sarà lo stesso Petrov a difendere il suo governo dicendo
che decise lui stesso per il prepensionamento a seguito di un crollo
nervoso.
Questa parte della storia
forse non la sapremo mai, ma quello che conta è che quando si venne
a sapere di Petrov e della sua scelta, molti governi capirono
realmente il peso di quella azione ed elogiarono il Tenente
Colonnello.
Lo stesso Oleg
Kalugin, capo del KGB
all'epoca dei fatti, riporterà ai media che il presidente Yuri
Andropov era profondamente convinto che la Russia, in caso di guerra
con gli Stati Uniti, avrebbe dovuto colpire per prima.
Di conseguenza
l'identificazione di un lancio avrebbe sicuramente scatenato un
bombardamento di rappresaglia con testate multiple e, di fatto
scatenato una guerra nucleare per l'intero pianeta.
Negli anni Petrov ha
ricevuto diversi riconoscimenti.
Il 21 Maggio del 2004 a
San Francisco gli viene conferito il premio World Citizen, dalla
omonima associazione, assieme ad un assegno di mille dollari.
Nel Gennaio del 2006 viene
onorato in un meeting nel palazzo delle nazioni unite a New York.
Il 17 Febbraio 2013
riceve il Premio Dresda (Dresden Preis
2013) che comprende anche una somma di
denaro di 25.000 Euro.
Infine nel 2014,
nell'ambito del Woodstock Film festival, viene rilasciato il
Docu-film a lui dedicato dal nome “The
Man Who Saved The World”.
Personalmente credo che
oltre a tutti gli articoli che ho letto a riguardo e ai video che ho
visto nella preparazione di questo post, la cosa che mi colpisce di
Petrov è l'umiltà della sua persona.
Quando intervistato dai
media di varie nazioni su come avesse fatto a stabilire che non si
trattasse di un attacco reale, Petrov rispose che un eventuale
attacco da parte degli Stati Uniti non sarebbe sicuramente stato
fatto da piccoli lanci intervallati fra loro che avrebbero dato la
possibilità alla Russia di contrattaccare in tempi sufficienti a
spiegare il loro intero arsenale.
Forse ancora più toccante
è l'umiltà con cui Petrov parlò ai media di quello che era
accaduto e di come, per lui, fosse solo parte del suo lavoro.
In un estratto della
sua intervista racconta quanto segue: “Quello che è accaduto non
era importante per me, era il mio lavoro. Era solo il mio lavoro, e
io ero solo la persona giusta al momento giusto, questo è tutto. Mia
moglie per dieci anni non seppe niente di quello che era accaduto. Mi
chiese “Cosa hai fatto?”
e io risposi “Nulla, non ho fato
nulla.”.
Concludo questo post con
parecchie emozioni e pensieri dettati dal fatto che spesso, quando
scrivo di una persona che mi ha colpito, rimango per molto tempo a
pensare come mi sarei comportato io al posto del soggetto del mio
post.
Spesso penso che avrei
fatto la scelta sbagliata o che forse avrei fatto semplicemente in
maniera diversa seguendo il mio istinto e il mio cuore. Altre volte
penso che il condizionamento mediatico di oggi spesso porta davvero
alla regressione mentale e a diventare davvero persone piccole perché
cerchiamo di piacerci e di farci piacere adattandoci un po' troppo
allo standard che ci è imposto e che noi accettiamo per non sentirci
esclusi nella società odierna.
Il Petrov semplice e
genuino che compare dal questa storia sono sicuro che è una persona
come tante che con la mano sul cuore a scelto di non fare quello che
avrebbe dovuto perché glielo diceva la società ma quello che che
era giusto perché glielo diceva qualcosa dentro di se che definire
semplicemente cuore
è riduttivo.
Infine mi fa paura pensare
che situazioni come queste siano davvero esistite nella storia
dell'umanità. Momenti in cui se non fosse stato per la persona
giusta al posto giusto e al momento giusto, forse non saremmo qui a
vederci un documentario su un eroe sovietico che presto, sono sicuro,
verrà dimenticato.
Infatti siamo sempre
bravissimi a ricordarci di chi ha fatto guerre e conquistato nazioni
ma non ci ricorderemo mai di chi ha fatto la scelta che non
ha scatenato una guerra.
Ma in fondo questa è
nostra natura e come tale, ci affascinerà sempre di più l'uso del
potere, anche se usato per far del male, piuttosto che quello non
usato affatto.
Se ne sono accorti http://www.ilgiomale.it/wordpress/trentadue-anni-fa-nel-1983-il-mondo-fu-salvato-da-un-uomo-che-nessuno-conosce/
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