martedì 11 agosto 2015

L'uomo che ha salvato il mondo

Al giorno d'oggi viviamo in un mondo in cui il grande fratello digitale è sempre più presente nella nostra quotidianità.
Tutti abbiamo una telecamera nel nostro telefonino e di conseguenza le gesta eroiche di poliziotti, pompieri, paramedici o anche di semplici cittadini che, di fronte una situazione critica, decidono di intervenire, possono essere facilmente trovate su YouTube.
I nostri moderni eroi non sono persone create dalla fantasia di un fumettista ma sono persone che si trovano al momento giusto nel posto giusto e, a costo di mettere a rischio la propria incolumità, si mettono da parte per aiutare il prossimo.
Tuttavia la storia che voglio condividere oggi non parla del gesto altruistico di una persona verso un altra persona ma piuttosto prontezza di riflessi, della grande umanità, e della capacità deduttiva che un singolo uomo ha avuto in un momento decisivo della sua vita e che, con le scelte che ha fatto, ha salvato il mondo intero.
Se fino ad oggi pensavate che una sola persona non possa far la differenza a questo mondo, preparatevi a ricredervi e a conoscere l'Uomo Che Ha Salvato il Mondo.



Per raccontare questa storia dobbiamo fare un passo indietro fino al 31 Agosto 1983.
Ci troviamo all'Aeroporto Internazionale di Anchorage, in Alaska.
Sono le 4 di mattina e sulla pista, proto per il decollo, c'è un grosso Boeing 747 dall'inconfondibile sagoma con la gobba e la doppia fila di finestrini nella parte frontale dell'aereo.




Di proprietà della Korean Airlines, il volo 007 è decollato verso la fine del giorno precedente da New York con destinazione Seoul ma con uno scalo proprio qui, in Alaska, per rifornirsi di carburante, prima della traversata dell'Oceano Pacifico.
Ai comandi del velivolo ci sono il capitano Chun Byung-in, il Primo Ufficiale Son Dong-hui e l'ingegnere di volo Kim Eui-dong.
Oltre a loro ci sono 266 persone di cui 20 membri dell'equipaggio e 6 membri della compagnia aerea non in servizio di ritorno a Seoul.
Fra i passeggeri c'è anche il rappresentante della Georgia presso il Congresso Americano, Larry Mc Donald.




Non appena decollato l'aereo prende lentamente quota, lascia lo spazio aereo dell'Alaska e chiude i contatti con l'aeroporto di Anchorage iniziando a fare rotta verso sud-ovest.
I piloti passano la responsabilità del volo al pilota automatico che, da loro preimpostato, li porterà fino a destinazione, dove riprenderanno i comandi per atterrare.
Le ore di volo procedono lente e, con poco da fare in questa fase di transizione, l'equipaggio si rilassa così come i passeggeri, che nel frattempo hanno passato la linea del cambio di fuso orario e si trovano cosi nel giorno dopo, 1 Settembre 1983.
L'aereo è in avvicinamento alle coste del Giappone quando all'improvviso, nel buio della notte, una forte esplosione fa sussultare il velivolo.
Immediatamente inizia la decompressione della cabina e scendono dal soffitto le maschere per l'ossigeno.
Terrorizzati i passeggeri cominciano ad indossarle e si stringono le cinture di sicurezza più che possono, mentre il panico dilaga.
Il capitano e il suo equipaggio cominciano istantaneamente la procedura di emergenza e contattano la torre di controllo di Tokyo, responsabile della gestione del traffico in questa zona, segnalando un'emergenza con perdita di pressione nella cabina.
Sono momenti terribili per tutte le persone a bordo dell'aereo che continua inesorabilmente a scendere verso il basso nella notte nera.
In cabina si combatte contro un mostro invisibile che, colpo dopo colpo, priva i piloti di ogni possibilità di controllo del mastodontico velivolo che ormai è allo sbando.
Pochi secondi lunghi come una vita e poi più nulla. Solo il silenzio.
Tokyo continua imperterrita nella ricerca di una risposta alle chiamate radio da parte del volo 007 ma la voce del comandate e di tutti gli occupanti del volo è stata zittita per sempre.

Cosa è successo al volo 007?
È accaduto l'inimmaginabile.
Ci si è dimenticati di quel piccolo dettaglio al quale nessuno va mai a pensare e che, per quanto insignificante sia, da inizio ad un concatenarsi di eventi la cui drammatica escalation ha portato alla perdita di 269 vite.
È successo che il volo era stato preimpostato dai due piloti con un valore di rotta errato nel computer del pilota automatico.
Un'angolazione sbagliata di pochi gradi sulla rotta da seguire, che però ha portato l'aereo coreano a non seguire la tratta prestabilita ma a sconfinare molto lentamente e a passare proprio sopra lo spazio aereo sovietico.
In particolare ha attraversato la penisola del Kamchatka e così facendo, senza previa autorizzazione, ha messo in moto la macchina da guerra sovietica.
L'aviazione militare russa era già in stato di pre-allerta visto che da mesi cercava, senza successo, di intercettare aerei spia di presunta provenienza americana che sconfinavano costantemente sul territorio senza identificarsi.
Tuttavia la vera condanna a morte del volo 007 arriva poco dopo, quando l'aereo coreano, che all'epoca non era dotato di GPS, sta per lasciare le acque internazionali ed entrare nuovamente sullo spazio aereo sovietico in prossimità della isola di Sakhalin.
A questo punto l'aviazione fa scattare la controffensiva e , con un caccia, intercetta l'aereo passeggeri.
Al comando del jet sovietico SU-15 c'è Gennadi Osipovich e, stando alla sua versione dei fatti, riporterà che fu impossibile stabilire un contatto radio col velivolo non identificato e, stando alle procedure militari dell'epoca, in caso di mancata risposta avrebbe dovuto sparare una raffica dalla mitragliatrice del suo caccia con traiettoria parallela alla fusoliera del velivolo non identificato allo scopo di intimare il cambio di rotta.
Gennadi obbedisce e spara una raffica di proiettili all'altezza della cabina del grosso aereo passeggeri credendo che sia visibile dai piloti.
Purtroppo non sa che sul suo aereo sono stati caricati proiettili perforanti e non traccianti, che pertanto risultano quasi invisibili nella notte.
Come da manuale, non avendo ricevuto risposta, chiede ai suoi superiori come procedere.
La risposta è una e tragica: abbattere l'aereo sconosciuto.
Gennadi ingaggia il velivolo con i suoi missili K-8, conferma l'abbattimento e fa rotta verso la base.
Non sa ancora che quel gesto resterà con lui, come un marchio a fuoco, per tutta la vita.

I giorni passano con il mondo intero a chiedersi che fine abbia fatto il volo 007 della Korean Airlines, ma ci vuole ben poco prima che alcuni detriti dell'aereo arrivino sulle coste del Giappone.
Basandosi sulle correnti degli ultimi giorni è facile ricostruire la zona approssimativa dell'abbattimento e, con la pressione internazionale alle stelle, i russi confessano di aver abbattuto un aereo sconosciuto sul loro territorio.
La notizia è comprensibilmente accolta con indignazione e tutti paesi che hanno perso dei connazionali a bordo dell'aereo domandano spiegazioni.
In pochissimo tempo la tensione fra il blocco sovietico e la Nato sale alle stelle.
Gli Stati Uniti bloccano l'accesso a tutti i voli della compagnia di bandiera sovietica Aeroflot in partenza e in arrivo sul territorio statunitense (il blocco verrà poi tolto solo nel 1986).
Inoltre le autorità aeroportuali di New York e New Jersey, violando gli accordi delle nazioni unite che garantiscono la libertà di accesso fra i paesi membri dell'unione, vieta il permesso di atterraggio sui loro aeroporti a qualunque aereo sovietico.
Mosca, dal canto suo, esprime il suo rammarico per la perdita di vite umane, ma insiste che secondo loro il volo era stato architettato per testare l'efficacia della difesa aerea sui siti militari strategici del Kamchakta.
É una situazione di così alta tensione che addirittura alcuni paesi membri delle nazioni unite cominciano a chiedersi se forse non fosse meglio spostare il quartier generale dell'Onu al di fuori dal territorio americano.
Ronald Reagan, il 5 Settembre 1983, nel suo discorso alla televisione americana, non offre nessuna giustificazione al vile attacco sovietico.




Nel suo discorso spiega che la notte non era buia ma illuminata dalla luna che, anche se non piena, era sufficiente ad illuminare la sagoma dell'inconfondibile aereo passeggeri.
Reagan invita i sovietici a collaborare ad un sistema che eviti future tragedie come queste ma punta il dito contro il loro atteggiamento gelido che negli anni non è mai cambiato verso il resto del mondo.
Conclude etichettando chiaramente l'aggressione sovietica e avvisando che ci saranno conseguenze che limiteranno l'approvvigionamento di armi alla Russia che storicamente ha sempre imposto la sua volontà con le armi.
Le ultime frasi del discorso sono di speranza per un futuro migliore in cui tragedie come questa saranno per sempre scongiurate.

Tuttavia sarà lo stesso Reagan, in un comunicato del 16 settembre 1983, a scongiurare future problematiche di questo tipo quando annuncerà al mondo intero che gli Stati Uniti forniranno gratuitamente l'accesso per uso civile al sistema GPS, da loro progettato.
Questa sarà, negli anni avvenire, una rivoluzione non di poco conto, che avrà ripercussioni su ogni forma di trasporto sia pubblica che privata.

Dal punto di vista Sovietico la situazione era molto peggio di quello che si potesse pensare.
Tutti, a partire dal presidente sovietico Yuri Andropov, fino ai massimi vertici del Cremlino, erano convinti più che mai che le azioni degli Stati Uniti, iniziate coi blocchi aerei fino al discorso di Reagan, puntassero a creare un ben preciso contesto, nel quale un attacco nucleare da parte degli Usa fosse una possibilità non più remota, ma mai come prima d'ora, possibile.
Di conseguenza, seguendo la dottrina sovietica, ogni minaccia o attacco verso il popolo sovietico andava prontamente risposto con forza ancora maggiore.
Questo stato mentale, che condizionava il governo sovietico a vivere in uno stato di perenne minaccia, non faceva altro che generare una situazione di stress che aveva terribili effetti negativi sulla macchina da guerra sovietica che, di conseguenza, era particolarmente propensa ad errori o incidenti.
Insomma bastava davvero poco per scatenare una reazione smisurata da parte della Russia.

Proprio in questo contesto critico arriviamo al cuore della storia di questo post.
Per cominciare dobbiamo andare in Russia e più precisamente a Kurilovo, una cittadina in aperta campagna a circa 80 chilometri a sud di Mosca.
Qui sorge una installazione militare sovietica dal nome di Serpukhov-15, (vedi qui il sito esatto su Google maps).




Costruita nel 1982, la piccola installazione ha un numero cospicuo di strutture di controllo dalla forma insolita e munite di grandi antenne a forma concava.
Tuttavia non bisogna farsi ingannare dalle apparenze ridotte.
Infatti qui ha sede uno dei punti nevralgici dell'intero apparato militare sovietico, forse addirittura il più importante in assoluto.
Lo scopo di questa installazione è infatti quello di monitorare OKO, un avveniristico sistema di preallarme in grado di identificare e seguire la traiettoria di eventuali missili balistici intercontinentali decollati da qualunque parte del mondo e diretti verso la Russia.
Il sistema, estremamente innovativo per l'epoca, è in grado di stabilire la traiettoria di un missile tramite il rilevatore ottico ad infrarossi.
È tarato per riconoscere nel cielo la tipica scia generata dai motori dei missili balistici intercontinentali e stabilirne la base di partenza, la direzione stimata (tramite una serie di controlli incrociati) e il tempo prima dell'impatto.

Il 26 settembre 1983, 25 giorni dopo l'abbattimento del volo 007, il turno di servizio all'interno di questa struttura militare sta per concludersi senza niente da segnalare, così come da quando il sistema è entrato in servizio.
L'ufficiale di turno in comando è il quarantaquattrenne Tenente Colonnello Stanislav Petrov.




I nove satelliti che orbitano la terra e comunicano costantemente con l'installazione non riportano niente di anormale e così ci si limita ai controlli di routine prima di passare il comando agli addetti al turno successivo.
Ad un tratto il silenzio viene spezzato dal suono di una sirena e sullo schermo principale della installazione, a caratteri cubitali, indica “START”.
La base intera passa allo stato di massima allerta mentre cominciano ad arrivare i dati inerenti ad un possibile lancio di un missile da parte di una installazione americana.
Petrov, così come i suoi colleghi, sono in stato di shock ma , come da addestramento, iniziano rapidamente le procedure di identificazione.
Più passa il tempo e più i vari sistemi di identificazione danno conferma su conferma che il lancio è reale.
Come misura di sicurezza ci sono ben trenta diversi livelli di conferma che il lancio, identificato dal satellite, deve superare prima di essere considerato attendibile.
Con solo 28 minuti prima dell'impatto, Petrov coordina tutto il suo personale che dalle loro postazioni iniziano a fare i vari controlli.
Il responso è unanime: lancio confermato!
Tutto ad un tratto una responsabilità pazzesca grava sulle spalle di Petrov: informare i suoi superiori che, in pochissimo tempo, devono far partire un contrattacco.
Nella stanza di controllo tutti gli schermi lampeggiano con segnali rossi d'allarme e i vari addetti ai diversi sistemi guardano tutti Stanislav che deve prendere una decisione.
Il Tenente Colonnello non perde la calma e con gran sangue freddo si impone di non prendere decisioni affrettate.
Sa che ci vorrebbe la conferma numero uno per eccellenza, quella visiva.
Tuttavia quest'ultima risulta superflua per le loro procedure, visto che i 30 livelli di sicurezza sono più che sufficienti per informare l'alto comando.
Petrov aspetta.
Sa bene che nel momento che lui identifica un attacco di un missile balistico come reale, la catena di comando, di cui lui è al primo posto, farà le sue scelte considerando l'attacco come tale.
In una similitudine, usata da Petrov stesso nel descrivere questa situazione, “Ci trovavamo come in un pollaio in cui se il primo gallo canta, tutti gli altri galli del villaggio lo seguono”.
Petrov prende una decisione drastica e dichiara che questo missile è frutto di un errore del sistema.
Tutti rimangono sbigottiti dalla sua decisione.
Tuttavia passano pochi secondi ed ecco che il peso della decisione sulle sue spalle viene nuovamente rinnovato e moltiplicato quando poco dopo il sistema comincia a segnalare un secondo missile decollato dagli Stati Uniti.
Partono di nuovo frenetici i controlli e di nuovo si passa alla validazione dei 30 livelli ma non si fa nemmeno in tempo a cominciare che un terzo e poi un quarto missile compaiono sullo schermo.
Passano secondi lunghi una vita con 4 missili e le loro traiettorie che pian piano si compongono sullo schermo finché un ennesimo allarme informa che un quinto missile è decollato alla volta della Russia.
In pochi minuti la situazione è diventata critica.
Petrov ora ha 5 missili in arrivo di cui tutti stanno passando i trenta livelli di conferma.
I suoi colleghi continuano a fargli pressione incitandolo a contattare il comando.
Manca davvero poco al presunto impatto del primo missile e Petrov sa che il comando avrà pochissimi minuti per contattare il presidente e fargli prendere una decisione che avrà ripercussioni in tutto il mondo.
A render le cose ancora più complesse l'unico altro sistema indipendente da quello di OKO per identificare i missili, sono i radar posti al sul territorio sovietico che tuttavia, a causa di una limitazione fisica, posso identificare missili in arrivo solo quando passano la linea dell'orizzonte.
Tuttavia questa conferma viene ad un costo altissimo.
Infatti riduce a pochissimi minuti la possibilità di informare l'alto comando e di conseguenza il presidente.
A questo punto di massima allerta Petrov, sbalordendo tutti, decide di aspettare e decreta che anche questi attacchi non sono reali.
I suoi colleghi sono sbigottiti, non riescono a capacitarsi ne di quello che sta succedendo ne tanto meno della scelta di Petrov.
Tutto il peso del mondo si riversa su di lui che, per una manciata di minuti, ha in mano le sorti della terra.
Ogni secondo è un secolo e la tensione si taglia col coltello nella sala di controllo di OKO.
Il conto alla rovescia per il primo impatto sta per scadere, mancano davvero una manciata di minuti.
Tutti sono impietriti di fronte ai monitor che continuano a lampeggiare freneticamente con scritte nere su sfondo rosso.
All'improvviso il primo missile supera la linea stimata per il passaggio dell'orizzonte e tutti sono inchiodati di fronte al monitor di conferma delle postazioni radar.
Nell'incredulità di tutti la traiettoria continua, ma non viene confermata dall'altro sistema.
La linea di trattini traccia la sua rotta finale e si ferma sulla sua destinazione.
Un impatto terribile dovrebbe aver annientato il bersaglio ma non si ha nessuna comunicazione di una esplosione.
Pochi istanti sospesi in un limbo e arriva la conferma che non è accaduto nulla.
Petrov, nella sua scommessa con la sorte, ha vinto per se e per tutto il mondo.
Ad uno ad uno tutti i missili si rivelano essere un falso allarme e la vittoria, contro il nemico invisibile e pauroso, è tutta merito suo.

Ma allora che cosa era accaduto ad OKO e ai suoi satelliti?
La risposta è tanto semplice quanto inverosimile.
Per una coincidenza inaspettata la luce del sole, riflessa sopra delle nuvole ad alta quota, è stata convogliata direttamente sulla lente di uno dei satelliti che ha interpretato quella interferenza come una serie di lanci.
Una volte identificata la causa il sistema verrà ricalibrato e rimesso in funzione.

Tornando a Petrov, per noi è impossibile descrivere come si sia potuto sentire dopo una situazione come questa e le sensazioni vissute in quegli attimo sono uniche e conosciute solo a coloro che, in quella stanza piena di monitor illuminati di rosso, hanno visto passare di fronte a se il destino di un intero pianeta e un uomo prendere la decisione giusta.
Tuttavia il sistema militare sovietico non perdona e quando Petrov riporta al suo diretto superiore l'accaduto, viene dapprima elogiato e poi castigato con la scusa di non aver compilato la documentazione dell'incidente in maniera corretta e, successivamente, mandato in prepensionamento.
Infatti lo scandalo del funzionamento errato del sistema era stato molto imbarazzante per l'alto comando sovietico e, con la carriera di molti alti ufficiali in gioco, Petrov fu scelto come il perfetto capro espiatorio.
Tuttavia quando dopo la caduta della cortina di ferro la storia di Petrov si sparge sui giornali, sarà lo stesso Petrov a difendere il suo governo dicendo che decise lui stesso per il prepensionamento a seguito di un crollo nervoso.
Questa parte della storia forse non la sapremo mai, ma quello che conta è che quando si venne a sapere di Petrov e della sua scelta, molti governi capirono realmente il peso di quella azione ed elogiarono il Tenente Colonnello.
Lo stesso Oleg Kalugin, capo del KGB all'epoca dei fatti, riporterà ai media che il presidente Yuri Andropov era profondamente convinto che la Russia, in caso di guerra con gli Stati Uniti, avrebbe dovuto colpire per prima.
Di conseguenza l'identificazione di un lancio avrebbe sicuramente scatenato un bombardamento di rappresaglia con testate multiple e, di fatto scatenato una guerra nucleare per l'intero pianeta.

Negli anni Petrov ha ricevuto diversi riconoscimenti.
Il 21 Maggio del 2004 a San Francisco gli viene conferito il premio World Citizen, dalla omonima associazione, assieme ad un assegno di mille dollari.
Nel Gennaio del 2006 viene onorato in un meeting nel palazzo delle nazioni unite a New York.
Il 17 Febbraio 2013 riceve il Premio Dresda (Dresden Preis 2013) che comprende anche una somma di denaro di 25.000 Euro.
Infine nel 2014, nell'ambito del Woodstock Film festival, viene rilasciato il Docu-film a lui dedicato dal nome “The Man Who Saved The World”.




Personalmente credo che oltre a tutti gli articoli che ho letto a riguardo e ai video che ho visto nella preparazione di questo post, la cosa che mi colpisce di Petrov è l'umiltà della sua persona.
Quando intervistato dai media di varie nazioni su come avesse fatto a stabilire che non si trattasse di un attacco reale, Petrov rispose che un eventuale attacco da parte degli Stati Uniti non sarebbe sicuramente stato fatto da piccoli lanci intervallati fra loro che avrebbero dato la possibilità alla Russia di contrattaccare in tempi sufficienti a spiegare il loro intero arsenale.
Forse ancora più toccante è l'umiltà con cui Petrov parlò ai media di quello che era accaduto e di come, per lui, fosse solo parte del suo lavoro.
In un estratto della sua intervista racconta quanto segue: “Quello che è accaduto non era importante per me, era il mio lavoro. Era solo il mio lavoro, e io ero solo la persona giusta al momento giusto, questo è tutto. Mia moglie per dieci anni non seppe niente di quello che era accaduto. Mi chiese “Cosa hai fatto?” e io risposi “Nulla, non ho fato nulla.”.

Concludo questo post con parecchie emozioni e pensieri dettati dal fatto che spesso, quando scrivo di una persona che mi ha colpito, rimango per molto tempo a pensare come mi sarei comportato io al posto del soggetto del mio post.
Spesso penso che avrei fatto la scelta sbagliata o che forse avrei fatto semplicemente in maniera diversa seguendo il mio istinto e il mio cuore. Altre volte penso che il condizionamento mediatico di oggi spesso porta davvero alla regressione mentale e a diventare davvero persone piccole perché cerchiamo di piacerci e di farci piacere adattandoci un po' troppo allo standard che ci è imposto e che noi accettiamo per non sentirci esclusi nella società odierna.
Il Petrov semplice e genuino che compare dal questa storia sono sicuro che è una persona come tante che con la mano sul cuore a scelto di non fare quello che avrebbe dovuto perché glielo diceva la società ma quello che che era giusto perché glielo diceva qualcosa dentro di se che definire semplicemente cuore è riduttivo.
Infine mi fa paura pensare che situazioni come queste siano davvero esistite nella storia dell'umanità. Momenti in cui se non fosse stato per la persona giusta al posto giusto e al momento giusto, forse non saremmo qui a vederci un documentario su un eroe sovietico che presto, sono sicuro, verrà dimenticato.
Infatti siamo sempre bravissimi a ricordarci di chi ha fatto guerre e conquistato nazioni ma non ci ricorderemo mai di chi ha fatto la scelta che non ha scatenato una guerra.

Ma in fondo questa è nostra natura e come tale, ci affascinerà sempre di più l'uso del potere, anche se usato per far del male, piuttosto che quello non usato affatto.  

1 commento:

  1. Se ne sono accorti http://www.ilgiomale.it/wordpress/trentadue-anni-fa-nel-1983-il-mondo-fu-salvato-da-un-uomo-che-nessuno-conosce/

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