martedì 11 agosto 2015

L'uomo che ha salvato il mondo

Al giorno d'oggi viviamo in un mondo in cui il grande fratello digitale è sempre più presente nella nostra quotidianità.
Tutti abbiamo una telecamera nel nostro telefonino e di conseguenza le gesta eroiche di poliziotti, pompieri, paramedici o anche di semplici cittadini che, di fronte una situazione critica, decidono di intervenire, possono essere facilmente trovate su YouTube.
I nostri moderni eroi non sono persone create dalla fantasia di un fumettista ma sono persone che si trovano al momento giusto nel posto giusto e, a costo di mettere a rischio la propria incolumità, si mettono da parte per aiutare il prossimo.
Tuttavia la storia che voglio condividere oggi non parla del gesto altruistico di una persona verso un altra persona ma piuttosto prontezza di riflessi, della grande umanità, e della capacità deduttiva che un singolo uomo ha avuto in un momento decisivo della sua vita e che, con le scelte che ha fatto, ha salvato il mondo intero.
Se fino ad oggi pensavate che una sola persona non possa far la differenza a questo mondo, preparatevi a ricredervi e a conoscere l'Uomo Che Ha Salvato il Mondo.



Per raccontare questa storia dobbiamo fare un passo indietro fino al 31 Agosto 1983.
Ci troviamo all'Aeroporto Internazionale di Anchorage, in Alaska.
Sono le 4 di mattina e sulla pista, proto per il decollo, c'è un grosso Boeing 747 dall'inconfondibile sagoma con la gobba e la doppia fila di finestrini nella parte frontale dell'aereo.




Di proprietà della Korean Airlines, il volo 007 è decollato verso la fine del giorno precedente da New York con destinazione Seoul ma con uno scalo proprio qui, in Alaska, per rifornirsi di carburante, prima della traversata dell'Oceano Pacifico.
Ai comandi del velivolo ci sono il capitano Chun Byung-in, il Primo Ufficiale Son Dong-hui e l'ingegnere di volo Kim Eui-dong.
Oltre a loro ci sono 266 persone di cui 20 membri dell'equipaggio e 6 membri della compagnia aerea non in servizio di ritorno a Seoul.
Fra i passeggeri c'è anche il rappresentante della Georgia presso il Congresso Americano, Larry Mc Donald.




Non appena decollato l'aereo prende lentamente quota, lascia lo spazio aereo dell'Alaska e chiude i contatti con l'aeroporto di Anchorage iniziando a fare rotta verso sud-ovest.
I piloti passano la responsabilità del volo al pilota automatico che, da loro preimpostato, li porterà fino a destinazione, dove riprenderanno i comandi per atterrare.
Le ore di volo procedono lente e, con poco da fare in questa fase di transizione, l'equipaggio si rilassa così come i passeggeri, che nel frattempo hanno passato la linea del cambio di fuso orario e si trovano cosi nel giorno dopo, 1 Settembre 1983.
L'aereo è in avvicinamento alle coste del Giappone quando all'improvviso, nel buio della notte, una forte esplosione fa sussultare il velivolo.
Immediatamente inizia la decompressione della cabina e scendono dal soffitto le maschere per l'ossigeno.
Terrorizzati i passeggeri cominciano ad indossarle e si stringono le cinture di sicurezza più che possono, mentre il panico dilaga.
Il capitano e il suo equipaggio cominciano istantaneamente la procedura di emergenza e contattano la torre di controllo di Tokyo, responsabile della gestione del traffico in questa zona, segnalando un'emergenza con perdita di pressione nella cabina.
Sono momenti terribili per tutte le persone a bordo dell'aereo che continua inesorabilmente a scendere verso il basso nella notte nera.
In cabina si combatte contro un mostro invisibile che, colpo dopo colpo, priva i piloti di ogni possibilità di controllo del mastodontico velivolo che ormai è allo sbando.
Pochi secondi lunghi come una vita e poi più nulla. Solo il silenzio.
Tokyo continua imperterrita nella ricerca di una risposta alle chiamate radio da parte del volo 007 ma la voce del comandate e di tutti gli occupanti del volo è stata zittita per sempre.

Cosa è successo al volo 007?
È accaduto l'inimmaginabile.
Ci si è dimenticati di quel piccolo dettaglio al quale nessuno va mai a pensare e che, per quanto insignificante sia, da inizio ad un concatenarsi di eventi la cui drammatica escalation ha portato alla perdita di 269 vite.
È successo che il volo era stato preimpostato dai due piloti con un valore di rotta errato nel computer del pilota automatico.
Un'angolazione sbagliata di pochi gradi sulla rotta da seguire, che però ha portato l'aereo coreano a non seguire la tratta prestabilita ma a sconfinare molto lentamente e a passare proprio sopra lo spazio aereo sovietico.
In particolare ha attraversato la penisola del Kamchatka e così facendo, senza previa autorizzazione, ha messo in moto la macchina da guerra sovietica.
L'aviazione militare russa era già in stato di pre-allerta visto che da mesi cercava, senza successo, di intercettare aerei spia di presunta provenienza americana che sconfinavano costantemente sul territorio senza identificarsi.
Tuttavia la vera condanna a morte del volo 007 arriva poco dopo, quando l'aereo coreano, che all'epoca non era dotato di GPS, sta per lasciare le acque internazionali ed entrare nuovamente sullo spazio aereo sovietico in prossimità della isola di Sakhalin.
A questo punto l'aviazione fa scattare la controffensiva e , con un caccia, intercetta l'aereo passeggeri.
Al comando del jet sovietico SU-15 c'è Gennadi Osipovich e, stando alla sua versione dei fatti, riporterà che fu impossibile stabilire un contatto radio col velivolo non identificato e, stando alle procedure militari dell'epoca, in caso di mancata risposta avrebbe dovuto sparare una raffica dalla mitragliatrice del suo caccia con traiettoria parallela alla fusoliera del velivolo non identificato allo scopo di intimare il cambio di rotta.
Gennadi obbedisce e spara una raffica di proiettili all'altezza della cabina del grosso aereo passeggeri credendo che sia visibile dai piloti.
Purtroppo non sa che sul suo aereo sono stati caricati proiettili perforanti e non traccianti, che pertanto risultano quasi invisibili nella notte.
Come da manuale, non avendo ricevuto risposta, chiede ai suoi superiori come procedere.
La risposta è una e tragica: abbattere l'aereo sconosciuto.
Gennadi ingaggia il velivolo con i suoi missili K-8, conferma l'abbattimento e fa rotta verso la base.
Non sa ancora che quel gesto resterà con lui, come un marchio a fuoco, per tutta la vita.

I giorni passano con il mondo intero a chiedersi che fine abbia fatto il volo 007 della Korean Airlines, ma ci vuole ben poco prima che alcuni detriti dell'aereo arrivino sulle coste del Giappone.
Basandosi sulle correnti degli ultimi giorni è facile ricostruire la zona approssimativa dell'abbattimento e, con la pressione internazionale alle stelle, i russi confessano di aver abbattuto un aereo sconosciuto sul loro territorio.
La notizia è comprensibilmente accolta con indignazione e tutti paesi che hanno perso dei connazionali a bordo dell'aereo domandano spiegazioni.
In pochissimo tempo la tensione fra il blocco sovietico e la Nato sale alle stelle.
Gli Stati Uniti bloccano l'accesso a tutti i voli della compagnia di bandiera sovietica Aeroflot in partenza e in arrivo sul territorio statunitense (il blocco verrà poi tolto solo nel 1986).
Inoltre le autorità aeroportuali di New York e New Jersey, violando gli accordi delle nazioni unite che garantiscono la libertà di accesso fra i paesi membri dell'unione, vieta il permesso di atterraggio sui loro aeroporti a qualunque aereo sovietico.
Mosca, dal canto suo, esprime il suo rammarico per la perdita di vite umane, ma insiste che secondo loro il volo era stato architettato per testare l'efficacia della difesa aerea sui siti militari strategici del Kamchakta.
É una situazione di così alta tensione che addirittura alcuni paesi membri delle nazioni unite cominciano a chiedersi se forse non fosse meglio spostare il quartier generale dell'Onu al di fuori dal territorio americano.
Ronald Reagan, il 5 Settembre 1983, nel suo discorso alla televisione americana, non offre nessuna giustificazione al vile attacco sovietico.




Nel suo discorso spiega che la notte non era buia ma illuminata dalla luna che, anche se non piena, era sufficiente ad illuminare la sagoma dell'inconfondibile aereo passeggeri.
Reagan invita i sovietici a collaborare ad un sistema che eviti future tragedie come queste ma punta il dito contro il loro atteggiamento gelido che negli anni non è mai cambiato verso il resto del mondo.
Conclude etichettando chiaramente l'aggressione sovietica e avvisando che ci saranno conseguenze che limiteranno l'approvvigionamento di armi alla Russia che storicamente ha sempre imposto la sua volontà con le armi.
Le ultime frasi del discorso sono di speranza per un futuro migliore in cui tragedie come questa saranno per sempre scongiurate.

Tuttavia sarà lo stesso Reagan, in un comunicato del 16 settembre 1983, a scongiurare future problematiche di questo tipo quando annuncerà al mondo intero che gli Stati Uniti forniranno gratuitamente l'accesso per uso civile al sistema GPS, da loro progettato.
Questa sarà, negli anni avvenire, una rivoluzione non di poco conto, che avrà ripercussioni su ogni forma di trasporto sia pubblica che privata.

Dal punto di vista Sovietico la situazione era molto peggio di quello che si potesse pensare.
Tutti, a partire dal presidente sovietico Yuri Andropov, fino ai massimi vertici del Cremlino, erano convinti più che mai che le azioni degli Stati Uniti, iniziate coi blocchi aerei fino al discorso di Reagan, puntassero a creare un ben preciso contesto, nel quale un attacco nucleare da parte degli Usa fosse una possibilità non più remota, ma mai come prima d'ora, possibile.
Di conseguenza, seguendo la dottrina sovietica, ogni minaccia o attacco verso il popolo sovietico andava prontamente risposto con forza ancora maggiore.
Questo stato mentale, che condizionava il governo sovietico a vivere in uno stato di perenne minaccia, non faceva altro che generare una situazione di stress che aveva terribili effetti negativi sulla macchina da guerra sovietica che, di conseguenza, era particolarmente propensa ad errori o incidenti.
Insomma bastava davvero poco per scatenare una reazione smisurata da parte della Russia.

Proprio in questo contesto critico arriviamo al cuore della storia di questo post.
Per cominciare dobbiamo andare in Russia e più precisamente a Kurilovo, una cittadina in aperta campagna a circa 80 chilometri a sud di Mosca.
Qui sorge una installazione militare sovietica dal nome di Serpukhov-15, (vedi qui il sito esatto su Google maps).




Costruita nel 1982, la piccola installazione ha un numero cospicuo di strutture di controllo dalla forma insolita e munite di grandi antenne a forma concava.
Tuttavia non bisogna farsi ingannare dalle apparenze ridotte.
Infatti qui ha sede uno dei punti nevralgici dell'intero apparato militare sovietico, forse addirittura il più importante in assoluto.
Lo scopo di questa installazione è infatti quello di monitorare OKO, un avveniristico sistema di preallarme in grado di identificare e seguire la traiettoria di eventuali missili balistici intercontinentali decollati da qualunque parte del mondo e diretti verso la Russia.
Il sistema, estremamente innovativo per l'epoca, è in grado di stabilire la traiettoria di un missile tramite il rilevatore ottico ad infrarossi.
È tarato per riconoscere nel cielo la tipica scia generata dai motori dei missili balistici intercontinentali e stabilirne la base di partenza, la direzione stimata (tramite una serie di controlli incrociati) e il tempo prima dell'impatto.

Il 26 settembre 1983, 25 giorni dopo l'abbattimento del volo 007, il turno di servizio all'interno di questa struttura militare sta per concludersi senza niente da segnalare, così come da quando il sistema è entrato in servizio.
L'ufficiale di turno in comando è il quarantaquattrenne Tenente Colonnello Stanislav Petrov.




I nove satelliti che orbitano la terra e comunicano costantemente con l'installazione non riportano niente di anormale e così ci si limita ai controlli di routine prima di passare il comando agli addetti al turno successivo.
Ad un tratto il silenzio viene spezzato dal suono di una sirena e sullo schermo principale della installazione, a caratteri cubitali, indica “START”.
La base intera passa allo stato di massima allerta mentre cominciano ad arrivare i dati inerenti ad un possibile lancio di un missile da parte di una installazione americana.
Petrov, così come i suoi colleghi, sono in stato di shock ma , come da addestramento, iniziano rapidamente le procedure di identificazione.
Più passa il tempo e più i vari sistemi di identificazione danno conferma su conferma che il lancio è reale.
Come misura di sicurezza ci sono ben trenta diversi livelli di conferma che il lancio, identificato dal satellite, deve superare prima di essere considerato attendibile.
Con solo 28 minuti prima dell'impatto, Petrov coordina tutto il suo personale che dalle loro postazioni iniziano a fare i vari controlli.
Il responso è unanime: lancio confermato!
Tutto ad un tratto una responsabilità pazzesca grava sulle spalle di Petrov: informare i suoi superiori che, in pochissimo tempo, devono far partire un contrattacco.
Nella stanza di controllo tutti gli schermi lampeggiano con segnali rossi d'allarme e i vari addetti ai diversi sistemi guardano tutti Stanislav che deve prendere una decisione.
Il Tenente Colonnello non perde la calma e con gran sangue freddo si impone di non prendere decisioni affrettate.
Sa che ci vorrebbe la conferma numero uno per eccellenza, quella visiva.
Tuttavia quest'ultima risulta superflua per le loro procedure, visto che i 30 livelli di sicurezza sono più che sufficienti per informare l'alto comando.
Petrov aspetta.
Sa bene che nel momento che lui identifica un attacco di un missile balistico come reale, la catena di comando, di cui lui è al primo posto, farà le sue scelte considerando l'attacco come tale.
In una similitudine, usata da Petrov stesso nel descrivere questa situazione, “Ci trovavamo come in un pollaio in cui se il primo gallo canta, tutti gli altri galli del villaggio lo seguono”.
Petrov prende una decisione drastica e dichiara che questo missile è frutto di un errore del sistema.
Tutti rimangono sbigottiti dalla sua decisione.
Tuttavia passano pochi secondi ed ecco che il peso della decisione sulle sue spalle viene nuovamente rinnovato e moltiplicato quando poco dopo il sistema comincia a segnalare un secondo missile decollato dagli Stati Uniti.
Partono di nuovo frenetici i controlli e di nuovo si passa alla validazione dei 30 livelli ma non si fa nemmeno in tempo a cominciare che un terzo e poi un quarto missile compaiono sullo schermo.
Passano secondi lunghi una vita con 4 missili e le loro traiettorie che pian piano si compongono sullo schermo finché un ennesimo allarme informa che un quinto missile è decollato alla volta della Russia.
In pochi minuti la situazione è diventata critica.
Petrov ora ha 5 missili in arrivo di cui tutti stanno passando i trenta livelli di conferma.
I suoi colleghi continuano a fargli pressione incitandolo a contattare il comando.
Manca davvero poco al presunto impatto del primo missile e Petrov sa che il comando avrà pochissimi minuti per contattare il presidente e fargli prendere una decisione che avrà ripercussioni in tutto il mondo.
A render le cose ancora più complesse l'unico altro sistema indipendente da quello di OKO per identificare i missili, sono i radar posti al sul territorio sovietico che tuttavia, a causa di una limitazione fisica, posso identificare missili in arrivo solo quando passano la linea dell'orizzonte.
Tuttavia questa conferma viene ad un costo altissimo.
Infatti riduce a pochissimi minuti la possibilità di informare l'alto comando e di conseguenza il presidente.
A questo punto di massima allerta Petrov, sbalordendo tutti, decide di aspettare e decreta che anche questi attacchi non sono reali.
I suoi colleghi sono sbigottiti, non riescono a capacitarsi ne di quello che sta succedendo ne tanto meno della scelta di Petrov.
Tutto il peso del mondo si riversa su di lui che, per una manciata di minuti, ha in mano le sorti della terra.
Ogni secondo è un secolo e la tensione si taglia col coltello nella sala di controllo di OKO.
Il conto alla rovescia per il primo impatto sta per scadere, mancano davvero una manciata di minuti.
Tutti sono impietriti di fronte ai monitor che continuano a lampeggiare freneticamente con scritte nere su sfondo rosso.
All'improvviso il primo missile supera la linea stimata per il passaggio dell'orizzonte e tutti sono inchiodati di fronte al monitor di conferma delle postazioni radar.
Nell'incredulità di tutti la traiettoria continua, ma non viene confermata dall'altro sistema.
La linea di trattini traccia la sua rotta finale e si ferma sulla sua destinazione.
Un impatto terribile dovrebbe aver annientato il bersaglio ma non si ha nessuna comunicazione di una esplosione.
Pochi istanti sospesi in un limbo e arriva la conferma che non è accaduto nulla.
Petrov, nella sua scommessa con la sorte, ha vinto per se e per tutto il mondo.
Ad uno ad uno tutti i missili si rivelano essere un falso allarme e la vittoria, contro il nemico invisibile e pauroso, è tutta merito suo.

Ma allora che cosa era accaduto ad OKO e ai suoi satelliti?
La risposta è tanto semplice quanto inverosimile.
Per una coincidenza inaspettata la luce del sole, riflessa sopra delle nuvole ad alta quota, è stata convogliata direttamente sulla lente di uno dei satelliti che ha interpretato quella interferenza come una serie di lanci.
Una volte identificata la causa il sistema verrà ricalibrato e rimesso in funzione.

Tornando a Petrov, per noi è impossibile descrivere come si sia potuto sentire dopo una situazione come questa e le sensazioni vissute in quegli attimo sono uniche e conosciute solo a coloro che, in quella stanza piena di monitor illuminati di rosso, hanno visto passare di fronte a se il destino di un intero pianeta e un uomo prendere la decisione giusta.
Tuttavia il sistema militare sovietico non perdona e quando Petrov riporta al suo diretto superiore l'accaduto, viene dapprima elogiato e poi castigato con la scusa di non aver compilato la documentazione dell'incidente in maniera corretta e, successivamente, mandato in prepensionamento.
Infatti lo scandalo del funzionamento errato del sistema era stato molto imbarazzante per l'alto comando sovietico e, con la carriera di molti alti ufficiali in gioco, Petrov fu scelto come il perfetto capro espiatorio.
Tuttavia quando dopo la caduta della cortina di ferro la storia di Petrov si sparge sui giornali, sarà lo stesso Petrov a difendere il suo governo dicendo che decise lui stesso per il prepensionamento a seguito di un crollo nervoso.
Questa parte della storia forse non la sapremo mai, ma quello che conta è che quando si venne a sapere di Petrov e della sua scelta, molti governi capirono realmente il peso di quella azione ed elogiarono il Tenente Colonnello.
Lo stesso Oleg Kalugin, capo del KGB all'epoca dei fatti, riporterà ai media che il presidente Yuri Andropov era profondamente convinto che la Russia, in caso di guerra con gli Stati Uniti, avrebbe dovuto colpire per prima.
Di conseguenza l'identificazione di un lancio avrebbe sicuramente scatenato un bombardamento di rappresaglia con testate multiple e, di fatto scatenato una guerra nucleare per l'intero pianeta.

Negli anni Petrov ha ricevuto diversi riconoscimenti.
Il 21 Maggio del 2004 a San Francisco gli viene conferito il premio World Citizen, dalla omonima associazione, assieme ad un assegno di mille dollari.
Nel Gennaio del 2006 viene onorato in un meeting nel palazzo delle nazioni unite a New York.
Il 17 Febbraio 2013 riceve il Premio Dresda (Dresden Preis 2013) che comprende anche una somma di denaro di 25.000 Euro.
Infine nel 2014, nell'ambito del Woodstock Film festival, viene rilasciato il Docu-film a lui dedicato dal nome “The Man Who Saved The World”.




Personalmente credo che oltre a tutti gli articoli che ho letto a riguardo e ai video che ho visto nella preparazione di questo post, la cosa che mi colpisce di Petrov è l'umiltà della sua persona.
Quando intervistato dai media di varie nazioni su come avesse fatto a stabilire che non si trattasse di un attacco reale, Petrov rispose che un eventuale attacco da parte degli Stati Uniti non sarebbe sicuramente stato fatto da piccoli lanci intervallati fra loro che avrebbero dato la possibilità alla Russia di contrattaccare in tempi sufficienti a spiegare il loro intero arsenale.
Forse ancora più toccante è l'umiltà con cui Petrov parlò ai media di quello che era accaduto e di come, per lui, fosse solo parte del suo lavoro.
In un estratto della sua intervista racconta quanto segue: “Quello che è accaduto non era importante per me, era il mio lavoro. Era solo il mio lavoro, e io ero solo la persona giusta al momento giusto, questo è tutto. Mia moglie per dieci anni non seppe niente di quello che era accaduto. Mi chiese “Cosa hai fatto?” e io risposi “Nulla, non ho fato nulla.”.

Concludo questo post con parecchie emozioni e pensieri dettati dal fatto che spesso, quando scrivo di una persona che mi ha colpito, rimango per molto tempo a pensare come mi sarei comportato io al posto del soggetto del mio post.
Spesso penso che avrei fatto la scelta sbagliata o che forse avrei fatto semplicemente in maniera diversa seguendo il mio istinto e il mio cuore. Altre volte penso che il condizionamento mediatico di oggi spesso porta davvero alla regressione mentale e a diventare davvero persone piccole perché cerchiamo di piacerci e di farci piacere adattandoci un po' troppo allo standard che ci è imposto e che noi accettiamo per non sentirci esclusi nella società odierna.
Il Petrov semplice e genuino che compare dal questa storia sono sicuro che è una persona come tante che con la mano sul cuore a scelto di non fare quello che avrebbe dovuto perché glielo diceva la società ma quello che che era giusto perché glielo diceva qualcosa dentro di se che definire semplicemente cuore è riduttivo.
Infine mi fa paura pensare che situazioni come queste siano davvero esistite nella storia dell'umanità. Momenti in cui se non fosse stato per la persona giusta al posto giusto e al momento giusto, forse non saremmo qui a vederci un documentario su un eroe sovietico che presto, sono sicuro, verrà dimenticato.
Infatti siamo sempre bravissimi a ricordarci di chi ha fatto guerre e conquistato nazioni ma non ci ricorderemo mai di chi ha fatto la scelta che non ha scatenato una guerra.

Ma in fondo questa è nostra natura e come tale, ci affascinerà sempre di più l'uso del potere, anche se usato per far del male, piuttosto che quello non usato affatto.  

lunedì 13 luglio 2015

La storia che NON si ripete.

I telegiornali e le notizie dei principali quotidiani degli ultimi giorni sono completamente incentrate sulla crisi greca e sulla possibile uscita' dall'Euro del paese per l'incapacità di mantenere le promesse di pagamenti ai paesi creditori.
Nell'ambito delle discussioni una posizione di spicco e' occupata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che espone forti dubbi in merito alla riuscita di un piano di salvataggio ellenico.
Vedendola alla televisione sembra un po' lo stereotipo del tedesco di quella Germania che non guarda in faccia nessuno e va per la sua strada.

Quando penso alla Germania vedo una nazione per certi aspetti da prendere come esempio.
Un popolo determinato e che si rialza sempre.
Sia che sia caduto per causa propria dopo aver scatenando ben due conflitti mondiali.
Sia quando viene spezzettato in due dai paesi vincitori ma con idee politiche opposte fra loro.
Alla fine, come solo loro sanno fare, si reinventano e tornano sulla cresta dell'onda.

Tuttavia in questo post non voglio fare un'ode alla Germania ma raccontare un dettaglio della storia di questo paese che forse viene troppo spesso sorvolato con leggerezza sui banchi di scuola ma che, mai come oggi, è tanto importante quanto attuale.

Facciamo un tuffo indietro nella storia.
Il 19 di Gennaio del 1919 a Parigi le nazioni vincitrici della Prima Guerra Mondiale si incontrano riunite con le rappresentanze dei paesi vinti allo scopo di decidere le sorti dell'Europa.



Il grande conflitto è infatti terminato poco più di due mesi prima con la sua conclusione ufficiale l'11 Novembre 1918.
Per il primo ministro italiano Vittorio Emanuele Orlando non c'è tempo da perdere.
Gli alleati devono mantenere le promesse fatte nel Patto di Londra che , a tutti gli effetti, è stata la leva che ha fatto entrare in guerra l'Italia affianco degli alleati.
Tuttavia anche se l'Italia era a tutto diritto uno dei “Grandi Quattro” (Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) vincitori della Grande Guerra , le altre tre nazioni consideravano la cessione di tutti i territori precedentemente promessi, un eccesso per un paese del quale temono le forti mire imperialistiche, e così fanno opposizione.
Pertanto, vedendosi rifiutare Fiume e la maggior parte della Dalmazia, Orlando lascia la conferenza infuriato.
Ad onor di cronaca va anche detto che, come riportano diverse fonti, Orlando fosse un politico molto preparato ma che purtroppo, a differenza degli altri tre, non parlasse una parola di Inglese, limitando di fatto ogni sua argomentazione o l'esposizione di qualunque punto in merito alla concessione dei territori promessi all'Italia.

Tuttavia man mano che le discussioni procedono per tutto il 1919, il punto dei vinti sui vincitori si faceva sempre più di carattere pratico.
Infatti visto che i costi in vite umani non potevano essere rimpiazzati, venne inevitabilmente chiesto ai paesi sconfitti di risarcire finanziariamente i vincitori.
L'Italia ad esempio aveva perso circa 700.000 uomini e investito ben 12 miliardi di Lire nel primo conflitto mondiale e, a maggior ragione, voleva che questa compensazione fosse non solo monetaria ma anche territoriale.
La questione risarcimenti si faceva sempre più accesa e i vincitori decisero non solo di imporre somme astronomiche di rimborso per ripagare i reali costi sostenuti dai paesi in guerra, ma introdussero anche una politica di rimborso fatta per tenere le nazioni sconfitte sotto una tale pressione fiscale che avrebbe impedito loro di risollevarsi economicamente e di fatto scongiurando un ennesima scintilla per un altrettanto devastante conflitto.
Perlomeno questa era la teoria.

Prendiamo come esempio su tutte la Germania.
Col Trattato di Versailles, le veniva imposto di versare la somma di 132 miliardi di Goldmark (Marco D'Oro) che, considerando tutte le variabili fiscali tra cui inflazione della moneta, avrebbe permesso ai tedeschi di liberarsi del debito solo nel 1988!
Tuttavia anche se la cifra era esorbitante i paesi alleati avevano già preso accordi sottobanco con la Germania per garantire un pagamento minimo di 50 miliardi solamente.
Questa accordo al limite dell'assurdo era stato fatto per accattivarsi il parere positivo del popolo francese e inglese allo scopo di far credere loro che la Germania fosse tassata molto pesantemente per quello che aveva compiuto.
Tuttavia anche i soli 50 miliardi erano una cifra quasi impossibile da pagare in breve tempo.
Infatti nel già nel 1922 la Germania non aveva rispettato numerosi accordi di rimborso che , fra l'altro non erano solo di pura natura finanziaria ma anche sotto forma fisica di materiale quale carbone o legname.
Nel 1923 l'incapacità di rispettare gli accordi di pagamento convince la Francia e il Belgio, con al seguito un contingente italiano, ad invadere la Regione della Ruhr, ovvero il grande cuore industriale tedesco data la gran quantità di carbone e ferro.
Mentre il Marco tedesco si inflazionava sempre di più, gli alleati decisero di attuare un nuovo piano finanziario per aiutare la Germania che prevedeva anche il ritiro della forza di occupazione.
Il risultato fu il piano Dawes del 1924 che sanciva fra le altre cose l'introduzione di una nuova moneta tedesca allo scopo di bloccare l'inflazione: il Rentenmark.
Non solo ma qualche anno dopo, nel maggio del 1929, verrà attuata l'ennesima misura contenitiva , il piano Young, che sarà l'ultimo tassello in questo puzzle di accordi e concessioni che di fatto smantelleranno quasi del tutto il debito tedesco.

La conclusione si avrà poco dopo, il 9 Luglio del 1932, con la Conferenza di Losanna che di fatto cancellava del tutto il debito tedesco.
Della cifra iniziale di 132 miliardi solamente 21 miliardi vennero pagati dalla Germania e dopo tante parole, discussioni e tempo passato a cercare di trovare una soluzione il debito venne semplicemente dimenticato.

È vero, in quegli anni l'economia mondiale stava cambiando e dopo una guerra si cerca sempre di dimenticare il più in fretta possibile.
Tuttavia se trasportiamo la tematica in questione ai giorni nostri ecco che emergono le similitudini.
Basti pensare che già a seguito del piano Young sopra elencato, i due terzi del debito della Germania (ovvero la parte soggetta ad interessi) erano stati finanziati da un gruppo di banche per investimenti riunite sotto la JP Morgan & Co!



Ed ecco il grosso problema attuale.
Non si tratta solo di un gruppo di paesi che si mettono d'accordo per estinguere il debito di un altro .
Gli interessi sono come sempre più radicati.
La differenza fra la situazione della Germania negli anni 20 e quella della Grecia novantanni dopo, è lampante per come noi consideriamo intoccabili le banche ai giorni nostri e come erano considerate all'epoca.
E anche se oggi i media ci fanno vedere le scene di pensionati greci disperati in coda per cercare di prelevare qualche soldo dai bancomat mentre la loro pensione va via via assottigliandosi a causa della austerity, non possiamo non constatare come i soldi delle banche siano a prova di pianto.

In conclusione bisogna dare comunque una bacchettata sulle dita alla Germania per come considera il debito greco ma è anche vero che spesso e facilmente ci dimentichiamo chi detiene il potere reale.
Ciò non toglie che la Storia che spesso diciamo “si ripete”, in questo caso, visti gli interessi delle nuove banche invece che delle vecchie nazioni, NON si ripete e la Grecia si tiene il suo debito mentre 80 anni fa la Germania si è potuta dimenticare del suo.





P.S. Un grazie particolare a Carol per alcune dritte sull'argomento.

martedì 7 luglio 2015

Edge of Tomorrow - 2014

Il mese di Giugno è stato decisamente frenetico per i miei ritmi e, come avevo già accennato le post precedente, mi ha tenuto alla larga dalla mia vita digitale.
Ammetto di essere molto sedentario e questo ovviamente mette la “frenesia” in una certa prospettiva.
Tuttavia ho la percezione di aver fatto davvero molto specialmente per migliorare il posto dove vivo e riordinare un po' non solo tante cose che si stavano accumulando come ad esempio le lettere, planimetricamente menate pubblicitarie, ma anche un po di sano ordine mentale.
Penso dovrei cominciare a fare una scaletta settimana alla quale attenermi per organizzarmi un po e non lasciare indietro nessuno dei miei progetti ma penso, conoscendomi, che solo quando fisicamente avrò riordinato camera mia al 100% riuscirò a diventare così preciso...
Forse....

Nonostante ciò, fra una pennellata ad un muro e una spazzata ad un pavimento, son riuscito a trovare comunque il momento di vedere un altro film che voglio condividere.
Ammetto che non avevo voglia di buttarmi su un film a caso anche perché ora come ora non mi va davvero di scrivere di film che non mi son piaciuti.
Pertanto la mia scelta in questo caso è stata indirizzata da una voce di corridoio ovvero da un amico che mi ha chiesto: “Hai visto l'ultimo film di Tom Cruise? Se ti capita guardalo.”.
Andando a spulciare su internet scopro che il film in questione si chiama “Edge of Tomorrow” mentre per l'Italia ha lo stesso titolo con un aggiunta di “Senza domani”.



Per me il Tom Cruise da vedere, o per meglio dire quello che mi ha appassionato, è quello di film come L'ultimo Samurai, La Guerra Dei Mondi, Operazione Vanchiria o Collateral.
Se scaviamo un po più indietro troviamo altri grandi successi come Il Socio, Rainman, Nato il 4 Luglio e Jerry Maguire.
“E scusate se è poco!” verrebbe da dire!
Tuttavia l'età avanza per tutti e ridendo e scherzando il signor Cruise porta sulle spalle la bellezza di 52 anni!
Portati alla grande, non c'è che dire, ma sempre 52 sono.
Quindi mi chiedevo come sarebbe stato vederlo in un ennesimo film d'azione e la risposta data dal film è eccezionale.
Non tanto per le performance fisiche dell'attore che forse pochi sanno ma non usa quasi mai controfigure per le sue acrobazie sul set (inclusi i combattimenti con spade come ne L'Ultimo Samurai) ma più che altro perché sembra destinato sempre ad essere l'eroe a cui tutti guardano e che anche nel momento più critico, a costo del sacrificio supremo, fa finire in gloria qualunque missione a lui assegnata.
La bellezza di Edge of Tomorrow sta invece nel fatto che Cruise è un po un antieroe per eccellenza che in un mondo che sta affrontando un ennesima invasione aliena con spropositati costi in vite umani , mette la sua grinta e passione non sui campi di battaglia ma sugli schermi televisivi come immagine mediatica di un esercito che continua disperatamente a reclutare nuovi soldati da mandare a contrastare gli alieni meccanici che minacciano la terra.
Alla regia troviamo Doug Liman con alle spalle un capolavoro come The Bourne Identity ma anche un semi flop come Jumper.
Tuttavia in questo caso le scelte sembrano tutte azzeccate e l'ingranaggio funziona molto bene.
Vuoi per il ruolo non da eroe di Cruise ma anche per la scelta di mettere a capo delle forse di difesa terrestri, una carismatica Emily Blunt, personaggio chiave del film, che completa in maniera perfetta quello interpretato da Cruise quasi a formare dai due un unica persona che cerca disperatamente di dare una svolta al conflitto mondiale.
A parte alcuni cliché di tipo militare il film riesce a costantemente a tenerci focalizzati e a non voler perdere nemmeno un secondo della storia non solo per l'azione ma anche grazie ad una formula che aveva già decretato il successo di un altro film che ben poco ha a che fare con la guerra.


!!!SPOILER ALERT!!!
!!IL CONTENUTO CHE SEGUE SVELA UNA PARTE IMPORTANTE DEL FILM!!!
!!!PER SALTARE LO SPOLIER PASSA AL MESSAGGIO SUCCESSIVO!!!



Nel film di cui stiamo parlando (Versione Inglese o Versione Italiana) Bill Murray interpreta un tele reporter del meteo mandato a fare un reportage su un evento annuale che si svolge in America.
La peculiarità di questo film sta nel fatto che il protagonista si trova costretto a rivivere ogni volta il giorno precedente e, pur conservando la memoria di quello che è successo, si risveglia in una realtà in cui tutti il mondo attorno a lui vive invece quegli eventi come se fosse la prima volta.
Non importa cosa faccia, neppure il suicidio (rimosso da alcune versioni ma presente in quella italiana) riesce a farlo uscire da questo evento ciclico. Solo dopo un determinato evento riuscirà finalmente a rompere questa sorta di incantesimo e riprendere a contare i suoi giorni normalmente.
Ovviamente nel film di Murray c'è il tono della commedia che serve a far sorridere il pubblico.
In quello di Cruise c'è il disperato tentativo di riuscire dapprima a sopravvivere e successivamente fare quella scelta che può cambiare le sorti dell'umanità e pertanto mettere fine alla guerra.




!!!CONTINUA A LEGGERE DA QUI!!!



Un estenuante ricerca di come riuscire a superare ogni ostacolo dapprima sembra quasi divertire poi gradualmente inizia logorare lo spirito dei protagonisti e infine li porta alla conclusione di dover rivalutare del tutto il piano e cambiarlo drasticamente per adattarlo ad una nuova realtà più ampia di quella iniziale.
L'azione è sicuramente la componente di base di questo film ma i tentativi di Cruise e della Blunt di raggiungere lo scopo comune sono quelli che fanno più presa sullo spettatore e anche la carta vincente del film.
Come spesso accade la capacità di far si che il pubblico si immedesimi nei protagonisti e che quasi interagisca con loro esplorando diverse soluzioni per raggiungere lo scopo permette di interrogarsi e chiedersi “cosa farei io al loro posto” e così facendo inevitabilmente appassiona.
Non si tratta solo dell'ennesimo film in cui la razza umana deve sopravvivere ad un attacco alieno e lo si capisce fra l'altro dalla scelta azzeccata di non parlarne troppo a rischio di mostrare cose già viste.
Al contrario si da molto spazio ai due personaggi chiave che, con un cast abbastanza ridotto, danno agli spettatori la possibilità di gustare appieno la formula sopra elencata nello spoiler.


Il finale è inevitabilmente a sorpresa per evitare altri spoiler ma è comunque interessante.
In conclusione un film d'azione ma con la tensione del thriller con l'unica differenza che non si da la caccia ad un assassino ma al finale stesso del film.

Su IMDB il film si aggiudica in discreto 7.9.
Su Rotten Tomatoes si aggiudica un ottimo 90%

Come sempre il voto finale sta a voi.
Buona visione!






lunedì 29 giugno 2015

Prisoners - 2013

Era davvero da un sacco di tempo che non riuscivo a ritagliarmi un attimo per scrivere su uno qualunque dei miei blog.
Impegni su impegni e la ristrutturazione fai-da-te di alcune parti di casa mi hanno allontanato non solo dai miei hobby ma anche dal mondo informatico.
E così mi son ritrovato con un po di e-mail in arretrato a cui rispondere e tante cose da condividere che si stanno accumulando.
E proprio una di queste cosa da condividere è un film sul quale mi ero ripromesso di scrivere parecchio tempo fa ma poi ho sempre posticipato o me ne son sempre dimenticato poco dopo che mi tornava in mente distratto da altre mille cose da fare.
Tuttavia, complice un altro film visto di recente e sul quale poi scriverò, oggi ho deciso di tagliare la testa al toro e aggiungere questa chicca alla mia lista di film preferiti.

Il film in questione è del 2013 e, se non ricordo male, ero andato al cinema con un amico appassionato come me del mondo Marvel per vedere come se la cava Wolverine in ruoli non d'azione.
Per Wolverine ovviamente intendo l'attore australiano Hugh Jackman che interpreta il personaggio degli X-Man già dal lontano 2000.
Il film in questione, dove Jackman sveste gli abiti di supereroe per mettersi quelli di semplice cittadino, è Prisoners.



Sia io che il mio amico all'inizio non eravamo molto convinti del film visto che Jackman fa spesso ruoli d'azione e il regista Denis Villeneuve all'epoca ci era totalmente sconosciuto.
Pertanto non sapevamo davvero cosa aspettarci ma ci siamo comunque buttati e, senza anticipare troppo, dirò che i soldi spesi per vederlo sul grande schermo sono stati ben spesi.
Questo film, che definirei un thriller fra i migliori visti negli ultimi anni, calza a pennello sulla figura dell'attore originario di Sydney.
Il ruoli di padre la cui figlia viene rapita in un tranquillo paesino americano è il contesto perfetto poiché nonostante il dolore e lo sgomento per la scomparsa, ben presto emerge una immagine ben definita di un uomo che non esista a prendere in mano la situazione senza aspettare il normale svolgimento degli eventi e, in questa estenuante ricerca per la verità, il modo istintivo di agire di Jackman viene contrapposto con la visione analitica dell'attore Jake Gyllenhaal che interpreta il detective incaricato delle indagini.
I ritmi sono incalzanti e lo spettatore si trova in situazioni in cui deve spesso scegliere se quello che vede sia giusto o sbagliato in base a quello che ognuno di noi farebbe nella medesima situazione.
Questo fa si che chiunque guardi il film sia inchiodato alla poltrona fino all'ultimo minuto del film spesso associandosi o distaccandosi da un comportamento che pochi minuti prima giudicava corretto.
Nel complesso credo che sia davvero un ottima prova di recitazione anche per gli altri attori coinvolti tra cui spicca secondo me Terrence Howard che interpreta un amico di Jackman, anche lui padre nonché vicino di casa, il cui punto di vista , in un momento ben preciso del film, mi sono trovato personalmente a condividere staccandomi dagli altri due personaggi principali.

Il finale non posso svelarlo perché rovinerebbe la sorpresa per chi volesse guardarlo ma mi sento di dire una cosa ben precisa a riguardo.
Il regista è stato sicuramente bravissimo a concludere il film nel modo in cui lo ha concluso lasciando una sensazione ben precisa nel cuore dello spettatore e nella quale sono sicuro chiunque si rispecchierà dopo averlo visto.
Gli ultimi 10 secondi prima dei titoli di coda lasciano davvero quella sensazione che si prova come se al ristorante steste per concludere una deliziosa cena con un gustosissimo dessert e non appena fate per assaggiarlo scomparisse dalla tavola proprio mentre appoggiavate il cucchiaino alle labbra al suo posto comparisse sul tavolo lo scontrino per andare a pagare.

La votazione di IMDB è un ragguardevole 8.1 e per Rotten Tomatoes un altrettanto meritevole 82%.
L'opinione finale tocca sempre e comunque a voi.

Buona visione!


sabato 6 giugno 2015

King King - You Stopped The Rain

È una notte buia senza stelle.
Guardando in alto, in lontananza, si vedono ancora i lampi del temporale che ha da poco inzuppato Milano lasciando cadere anche qualche chicco di grandine.
La serata passata nel grande capoluogo lombardo è stata strana e diversa dalle solite, passata in un ambiente non mio che non capisco e che non son sicuro di voler capire: una galleria d'arte.
Non so davvero cosa pensare perché mi sono sentito in un certo senso escluso e anche un po' ignorante nei confronti di una categoria di persone poliedrica che non so nemmeno come qualificare.
Mi sentivo non vestito “a modo” come gli altri e non sapevo cosa dire come se all'improvviso tutte le mie passioni, punti di vista e hobby valessero quanto una vecchia barzelletta di Gino Bramieri alla quale ridi a denti stretti per non mancare di rispetto a chi la racconta.
Tuttavia il sentimento più forte che porto nel cuore è il mix di emozioni che vanno dall'invidia alla stima che in questo momento nutro verso i miei compagni di viaggio.
Sono sbalordito perché passano gli anni ma non cessano mai di stupirmi.
Grazie a loro non ho bisogno di fingere di essere cosa non sono poiché mi leggono come un libro aperto
Ora che la mezzanotte è passata da un po' e stiamo lasciando l'evento a cui siamo stati invitati ci scambiamo punti di vista e inevitabilmente qualche battuta allieta i discorsi che man mano si fanno più radi come le luci della città che si fanno via via più lontane dietro di noi
Abbiamo appena imboccato l'A7 dal casello di Assago e sul grande rettilineo che punta a sud in direzione Genova ci sono solo le luci rosse di un pugno di macchine in lontananza.
Le ultime parole si spengono e si accende la radio che inevitabilmente io vado ad indirizzare su Radio Capital.
Manco farlo apposta la prima parola che percepisco dalla voce dello speaker è “... con l'inconfondibile gonnellino scozzese...”.



Lollo mi guarda sorridendo.
Istintivamente alzo il volume e dopo poco parte un assolo di chitarra.
È un rock-blues che calza a pennello con tutto quello che abbiamo nel cuore mentre la macchina macina chilometri salutando con le sue luci una dopo l'altra le strisce bianche che volano sotto di noi.
In breve la canzone riesce a sincronizzare alla perfezione quello che abbiamo dentro a quello che vediamo fuori e raggiungiamo quello stato di estasi che ti fa sentire in pace col mondo e soprattutto senza una briciola di paura per il domani, non importa quanto incerto possa essere.

Questi momenti li vorresti far durare una vita o meglio ancora poterli salvare per i momenti difficili così da farne ricorso come una pozione magica e far sparire i demoni della vita che ogni tanto ci fanno visita.
Non importa più quello che pensavo di me in questa sera strana perché è giunto inaspettato un momento di cui far tesoro.
Quegli istanti in cui la compagnia giusta, la notte nera come la pece, la macchina che viaggia, la strada giusta e la musica che ti accarezza il cuore ti fanno rifiorire con un fiore nuov, diverso anche se il vaso rimane lo stesso.

In questo contesto ho trovato la nuova chicca da aggiungere al mio Negozio di Dischi.
Il nuovo acquisto è King King con la canzone You Stopped The Rain.
Non vi resta che trovare gli altri ingredienti e avrete anche voi il vostro mix per la notte da ricordare...



lunedì 18 maggio 2015

Samsung Galaxy S4 Mini e la connessione dati che consuma tutta la batteria

Dopo un recente aggiornamento del sistema operativo Android 4.4.2 KitKat mi sono ritrovato con una brutta sorpresa che mi ha fatto perdere un po di affidabilità nel mio Samsung Galaxy S4 Mini.



Per farla breve ogni volta che attivavo la connessione dati per connettermi alla rete del mio operatore per accedere ad internet, la batteria del cellulare cominciava a surriscaldarsi e in meno di un ora passava da carica o quasi carica a completamente scarica.
Come se la connessione usasse tutta la batteria del cellulare.
Questo non accadeva attivando nessun altro tipo di antenna.
Ne col Wireless, ne col Bluetooth e nemmeno con la rete GPS.
Solo ed esclusivamente con la connessione dati.
Ho passato non poco tempo sui vari forum a cercare una soluzione ma senza successo.
Riavviare e reinstallare il sistema operativo non hanno risolto.
In molti post clienti che hanno contattato Samsung si son sentiti dire che è un antenna che consuma molto più delle altre.
Tuttavia usando il cellulare da più di un anno sapevo benissimo che mentre prima potevo tenerla accesa tutto il giorno e il cellulare arrivava tranquillamente a sera con più della meta della batteria ora non riuscivo a farci nemmeno la classica passeggiata fuori casa.

Finalmente qualche giorno fa, leggendo un post su un forum ho trovato la soluzione.
Una soluzione tanto semplice che stavo quasi per non provarla.
Mi è bastato spegnere il cellulare, togliere la batteria, rimuovere la SD card un paio di secondi e poi reinserirla e reinserire la batteria.
Incredibile ma vero alla riaccensione il problema era scomparso.
A quanto pare la SD va in una specie di blocco e va semplicemente rimossa e reinserita.

Per chi ne volesse sapere di più ecco il link al forum:

http://forums.androidcentral.com/ask-question/418373-galaxy-note-3-drastic-battery-drain-while-international-roaming.html

martedì 28 aprile 2015

Il potere delle parole.... fraintese.

Lo sappiamo tutti, le parole hanno un potere distruttivo.
Basta un vocabolo usato con leggerezza e tutto crolla.
Una parola sbagliata con il nostro partner e, anche se stiamo dicendo le cose più dolci che ci vengano in mente, scoppia una discussione.
Altre volte il discorso serio che stiamo cercando di fare finisce in ilarità.
Insomma le combinazioni sono molteplici e ognuna con risultati diversi.



Tuttavia una cosa è parlare con il proprio partner o con gli amici.
Un altra è farlo in pubblico con milioni di persone che magari stanno ascoltando quello che dici come ad esempio negli show televisivi.
Oggi penso di aver trovato una vera chicca che voglio condividere con voi ma prima di rivelarla arriviamoci per gradi.
Partiamo da una delle più famose che conosciamo a casa nostra.
La leggenda vuole che Mike Bongiorno, conducendo il Rischiatutto disse alla allora campionessa in carica (La Signora Longari) la famosa frase “Ahi ahi ahi, signora Longari! Mi è caduta sull'uccello!”.
Non vi sono video che provino che il fatto sia realmente esistito ma Mike è stato partecipe di parecchie situazioni, alcune delle quali documentate, in cui l'ingenuità fa l'occhiolino alla malizia e il risultato è devastante come nel famoso episodio della Ruota della Fortuna.



Tuttavia credo che gli Americani ci hanno battuto e hanno spodestato i popolari video virali con Mike come presentatore.
Infatti il video che ho visto oggi la fa da padrona e la dice lunga su come una parola e il suo significato ambivalente possa avere un potere devastante.
Ecco a voi un episodio della versione americana del gioco delle coppie che vi lascerà a bocca aperta!

Buon divertimento!!!