Immaginate il classico paesino di provincia dove non succede mai niente.
Aggiungete una trovata originale per lanciare un nuovo canale dedicato a film dramatici.
Mischiate il tutto con un pubblico di ignari passanti e infine posizionate un ingenuo pulsante rosso al centro della piazza.
Il risultato è questo...
Immaginate per un attimo un paesino
sperduto in mezzo al nulla in un paese di terra brulla e sassi come
il Libano.
Immaginate ora che i loro abitanti
vivano lontani da tutto e da tutti quasi come se fossero dimenticati
dal resto del mondo e non sappiano nemmeno cosa stia succedendo
attorno a loro.
Aggiungete uno dei grandi contrasti dei
giorni nostri; quello religioso fra cristiani e mussulmani.
Ecco, questa è la ricetta per il film
“E ora dove andiamo?”.
Il film per la maggior parte ironico e
a tratti tragico, rappresenta uno spaccato della coesistenza di
diverse tipologie di persone con diversi usi e costumi che si
spartiscono un cumulo di vecchie case in un piccolissimo centro
abitato ai cui estremi ci sono una moschea e una chiesa.
Un imam e un prete.
A tratti si potrebbe pensare che sia un
remake di Don Camillo ma a scontrarsi qui non sono il due uomini di
fede ma le persone.
La pellicola della Labaki è un grande
“E Se....?” che indaga su come possano gli uomini coesistere in
poco spazio e con punti di vista diversi su quasi ogni cosa.
Il film merita di essere visto perché
lascia un un importante quesito sospeso nella mente di chi lo guarda
e porta a pensare se davvero vale la pena, a volte prendersela tanto
a cuore per qualcosa se poi, comunque, ci resta sempre lo stesso
mondo da spartire.
Il messaggio non è solo religioso ma
va letto in chiave più ampia domandandosi se le discussioni che
nascono ogni giorno sulle differenze tra noi e chi ci sta di fronte,
non possano essere un pretesto per prevaricare sul prossimo più che
una reale necessità di sopravvivenza.
Personalmente, alla fine del film
quando si materializza il significato del titolo, ho pensato, come
credo faranno tutti quelli che lo vedranno, alle parole di John
Lennon nella canzone Imagine.
“Immagina che non esista il
paradiso, niente inferno sotto di noi e sopra di noi solo il cielo”
“Immagina che non esistano i
paesi, niente per cui uccidere e morire e nemmeno nessuna religione”
Un ultima nota personale.
Non so chi abbia inventato le
donne e non voglio dare a loro un origine divina se no il principio
di questo film decade.
Tuttavia per fortuna esistono!
In conclusione chiedo a chiunque legge
il mio Blog di prendersi una sera rilassante, fare spazio nella
propria mente e fare un bell'esercizio morale con questo film.
Oggi
un amico mi ha passato un link troppo sfizioso che, anche se non è
l'homepage di un sito al quale tornare costantemente, merita
decisamente di essere visualizzata.
Il
quotidiano Il Secolo XIX (Decimo Nono) ha pubblicato una notizia
inerente alle opere di bonifica da ordigni inesplosi, risalenti alla
seconda guerra mondiale, dai fondali attorno all'Isola Gallinara.
Ovviamente
siccome non è giusto che il governo italiano spenda soldi e
soprattutto mandi i sub dei carabinieri a completare la bonifica,
hanno decido di ri-reclutare i sub ormai novantenni della.... REGIA
MARINA!
Ovviamente
non è così ma la notizia, quando l'ho letta, mi ha fatto piangere
dal ridere.
Soprattutto
sapendo che per il Secolo XIX non erano nemmeno “Ordigni” ma
“Ordini”.
Tutankhamonè forse il più famoso faraone Egizio. Da quando la sua tomba venne scoperta intatta
dall'archeologo britannico Howard
Carter nel 1922, tesori di magnifica fattura sono stati esposti
nei vari musei di tutto il mondo. La maschera funeraria è sicuramente il
manufatto più eccitante e senza prezzo trovato dentro al sarcofago
del famoso faraone d'Egitto ma non è l'unico ad aver destato
interesse nei media. Infatti nascosta all'ombra di questo preziosissimo
manufatto c'è stata per anni una collana con al centro una pietra
preziosa intagliata a forma di scarabeo.
Da sempre i ricercatori hanno creduto che si
trattasse di Calcedonio, una pietra semi preziosa. Ma quando Vincenzo De Michele, un archeologo
italiano, chiese il permesso di esaminare la pietra, si scoprì che
non era Calcedonio ma...
Beh se volete saperlo dovete partire per un
viaggio nel deserto del Sahara e scoprire l'affascinante storia
della: Tutankhamun's Fireball.
È inutile, purtroppo credo che gli anni migliori siano ormai
passati.
Gli anni in cui tutto sembrava andar bene in quelle giornate
senza fine che duravano una eternità.
I cartoni animati con tutta quella violenza non mi hanno fatto
diventare un poco di buono che picchia le vecchiette e ruba le autoradio e
forse proprio per questo mi chiedo cosa faranno i bambini che vedo crescere con
Postman Pat o Peppa Pig...
Un tempo in cui si giocava ancora con il caro vecchio Commodore
64 e i film erano meno di oggi ma migliori.
I film... e che film!
C'era cura nel dettaglio e il piacere di stupire il pubblico.
Quelli erano gli anni 80.
Mitici e intoccabili figli di una epopea di vita vissuta senza
tanti dei problemi di oggi e con il piacere di stare assieme e condividere.
Forse esagero perché li ho vissuti come un bambino ma non riesco
davvero ad avere ricordi negativi.
Comunque questo breve post di oggi è per un film che nel
firmamento della filmografia americana anni 80, è un simbolo, un'icona
scintillante, uno sole verso il quale tutti ci volgiamo con venerabile rispetto
per la semplicità, la gioia, l'ilarità e il piacere che dava avere questa
esplosione di emozioni che solo quei film speciali davano all'epoca.
Come fare rafting nel fiume in piena dei sentimenti.
Un film che non ha niente a che fare con la cultura ma ti lascia
arricchito.
Il film è “Corto Circuito”.
Niente forma antropomorfa ma cingoli al posto delle gambe.
Nessuno scatto atletico come Sonny in Io Robot.
Solo un robot che doveva sembrare come un robot e agire come tale, eseguendo solo quello che gli veniva detto di fare.
Pensate ora che questo robot possa essere animato da vita propria, da
una sua intelligenza e personalità: è un sogno un po futuristico, quasi alla
Asimov. Eppure Johnny 5 sa entrare nel cuore delle persone anche se è fatto di ferro, acciaio
e silicio e vi entra per restarci.
Per me rimane uno dei film più belli da vedere e rivedere.
Una chicca è la canzone finale che ho riscoperto di recente ed è
abbastanza difficile da trovare su Internet: “Come and follow me” di Max Carl e
Macy Levy.
Il post di oggi lo dedico al video recentemente rilasciato su
internet del salvataggio di Harrison Okene, il cuoco del rimorchiatore
Jascon-4, affondato a causa del mare mosso al largo delle coste della Nigeria
mentre trainava una petroliera in avaria. Purtroppo solo Harrison si è salvato
a differenza degli altri suoi 11 membri di equipaggio. Il video realizzato dalla telecamera
del sub che stava esplorando il relitto in cerca di spravissuti merita di
essere visto. Le voci distorte dalla mistura di
ossigeno e idrogeno (credo), miscela usata dai sub in immersioni a grandi
profondità, rende forse un po' meno drammatico il salvataggio. Tuttavia quando il sommozzatore vede
la mano muoversi e si spaventa è un momento tanto felice quanto spaventoso allo
stesso tempo (Minuto 5 e 38). Il finale con la musica de "La
Grande Fuga" è forse un po' pacchiano ma comunque , come si suol dire,
tutto è bene quel che finisce bene.
Qualche mesetto
fa parlavo con Betrand in una delle nostre solite chat. Per solite intendo
molto tardi nella notte, in quella che definisco una fascia protetta in cui
oltre alle solite cose si parla anche di qualunque soggetto e per caso, proprio
quella sera ci trovammo a parlare dello stesso artista mentre parlavamo di
video game.
Infatti lo
stesso giorno avevo visto un episodio di Reality Check, una rubrica di
Gamespot, che trattava la musica nei videogames e uno degli artisti che
comparivano associati con essi era proprio Lindsay Stirling che per la prima volta vidi, vestita
da Link (personaggio di Zelda), muoversi per boschi e castelli brandendo un
violino.
Curioso cercai
altri video e inevitabilmente finii sulla sua pagina di Youtube.
Con Betrand
condividemmo non solo le graziose fattezze fisiche della artista ma anche il
fatto che non sono molti gli artisti di un certo livello che si associano ai
videogames e infatti l'unico altro esempio che mi venne in mente fu Steve Vai e
la colonna sonora di Halo.
Ad ogni modo il
giorno dopo approfondii la conoscenza della sua musica registrandomi al suo
canale e vedendo video e backstage e avendo cosi una idea un po' più umana di
chi tiene in mano l'archetto.
La mia mente è
andata indietro nel tempo fino alle medie quando ascoltai per la prima volta un
mio compagno di classe suonare il violino.
Non solo ma
anche crescendo più volte ebbi la possibilità di vedere questo inusuale
strumento musicale prendere piede nella mia vita in un era dominata da
batteria, basso e chitarra elettrica.
Pensavo alla
volta che prima a Gardaland e poi al Cowboy Guest Ranch vidi Anchise Bolchidestreggiarsi con lo stile country o a
quando scoprii i vinili di Rondo Veneziano o Concerto Grosso dei New Trolls.
Quella fusione
di strumenti classici con sintetizzatori e strumenti moderni mi ha sempre
affascinato e nel tempo si è ritagliata una fetta sempre più ampia nelle mie
passioni per questo stile di musica e per una persona che ama avere la giusta
colonna sonora quando scrive o viaggia è il regalo più bello poter avere un
nuovo ricordo associato ad una nuova canzone.
In fondo
scrivere, sognare e viaggiare sono modi per ricordarci che siamo vivi e non
macchine programmate per superare l'ennesima settimana verso il prossimo
capello bianco.
E così questo
week end, sulle note dell'album di Lindsay, sono partito verso la costa est per
dare alle emozioni in note il giusto scenario cosi che occhi e orecchie
godessero del piacere di essere ancora collegati saldamente ad un cuore e ad un
cervello.
Il mitico continente sommerso citato da
Platone nei suoi
dialoghi.
Per secoli gli studiosi di tutto il
mondo hanno cercato di provare una volta per tutte l'esistenza o meno
di questa civiltà super avanzata scomparsa in un singolo giorno e
notte di disgrazia.
Fin da bambini tutti sapevamo che cosa
era Atlantide e grazie a fumetti, libri, film e quant'altro,
sognavamo di poterci andare.
Come possiamo infatti dimenticare il
Mistero
Della Pietra Azzurra che proprio sui successori di Atlantide
basava la sua storia?
Insomma l'idea di interagire con questo
grande mito affascinava grandi e piccini.
Inevitabilmente dove c'è domanda prima
o poi arriva anche l'offerta ed ecco che nel 1982, la neonata
softwarehouse Imagic
decide che il mito di Atlantide deve risorgere ed entrare nelle case
dei consumatori per donar loro ore di intrattenimento cercando allo
stesso tempo di farsi strada nel mercato ancora in fasce dei
videogiochi per console.
Il risultato finale è Atlantis,
il magnifico gioco per Intellivision con il quale ho cominciato
davvero ad assuefarmi ai videogiochi.
Non avrò avuto più di 4 o 5 anni
quando la fantomatica cartuccia arrivò a casa e ancora
ricorso a memoria le varie musichette.
Da quella iniziale a quella triste che
segnalava il fallimento della partita.
Atlantis era, come tutti i videogiochi
dell'epoca, semplice ma geniale.
Armati di due torrette poste su due
alture alle estremità dello schermo bisognava difendere la città
sottostante da attacchi di navicelle aliene che dapprima sorvolavano
la base senza attaccare ma successivamente, se non abbattute per
tempo, cominciavano ad attaccare con potenti armi a raggi le
strutture della vostra magnifica città, sterminando i vostri amati
cittadini!
In caso di emergenza era possibile
utilizzare pure un disco volante posto al centro della città sopra
un altopiano che, anche se potente, poteva volare solo per pochi
secondi prima di doversi rifornire.
Ore e ore a cercare di abbattere nemici
sempre più veloci e letali.
In realtà a quell'epoca poco importava
di arrivare alla fine del gioco.
Quello che era importante era il
divertimento nello scoprire quale forma avrebbero avuto le nuove
navicelle aliene e quanti punti si riusciva a strappare al gioco.
La bellezza e la ricercatezza dei
giochi dell'epoca è ben nota e come possiamo dimenticare le carte
che bisognava infilare sui comandi della Intellivision per
personalizzare i pulsati in base al gioco.
Anche Atlantis aveva la sua ovviamente.
Nell'era dei grandi robot meccanici
paladini dell'umanità,sempre presenti nei cartoni animati degli anni
70 e 80, prendere finalmente possesso di un arma creata per difendere
una città dalla minaccia di un nemico inarrestabile, era sicuramente
una droga ben studiata dalle case produttrici di videogiochi.
Assieme ad Astrosmash
(uscito solo l'anno prima) questo gioco è stato per me uno dei
migliori e ancora oggi quando passo ore al mio pc e fallisco in
qualche gioco di strategia vedendo la mia base annientata ripenso al
motivetto triste di Atlantis quando la mia città veniva spazzata
via.